Sull’obbligo risarcitorio in capo a ITA Airways: profili ricostruttivi in punto di favor partecipationis alle procedure di selezione, tutela reale e discriminazione
17 Aprile 2024|La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza in commento (6 febbraio 2024, n. 475), ha ribadito il principio di diritto per cui è discriminatoria la condotta del datore di lavoro che, in un processo di selezione del personale relativo ad un piano di assunzioni, esclude le prestatrici in ragione del loro stato di gravidanza.
La vicenda processuale ha il suo incipit dal caso di due ex-assistenti di volo di Alitalia che si erano candidate per essere assunte dalla Compagnia Aerea ITA Airways, presentando regolare domanda di “adesione” nell’ambito del piano assunzionale – come previsto dagli accordi con le Parti Sociali – senza, tuttavia, essere state mai chiamate per la preventiva selezione.
Le lavoratrici, pertanto, agivano ex art. 38 del D. Lgs. n. 198/2006, convenendo in giudizio la società, deducendo, in punto di diritto, che si fosse configurata nei loro confronti una discriminazione nella procedura di assunzione in ragione del loro stato di gravidanza e maternità.
Le ricorrenti, inoltre, adempiendo al relativo gravoso onus probandi avevano fornito dimostrazione del comportamento discriminatorio (M. D’Antona, Uguaglianze difficili, in LD, 1992, n. 4, 597 ss.; M.G. Garofalo, Le ambiguità dell’eguaglianza, in P. Chieco (a cura di), Eguaglianza e libertà nel diritto del lavoro. Scritti in memoria di Luciano Ventura, Cacucci, 2004, 113).
In particolare, in prima istanza, avevano indicato, a fini statistici, il nominativo di altre sette lavoratrici in gravidanza, del pari escluse dalla selezione; peraltro, avevano eccepito che i criteri di selezione adottati dalla società, nella scelta dei lavoratori assunti, risultavano del tutto oscuri; inoltre, avevano rilevato che nessuna lavoratrice in stato interessante fosse stata selezionata, o assunta, sia all’inizio del piano assunzionale che negli anni successivi (P. Comanducci, Su «uguaglianza», in LD, 1992, n. 4, 591 ss.; L. Lazzeroni, Eguaglianza, lavoro, regole di parificazione. Linguaggi e percorsi normativi, Giappichelli, 2011, 5 ss.).
Giova rilevare che, in ragione del rilievo della problematica discriminatoria oggetto di causa, nel corso del giudizio interveniva, ex art. 36, n. 2, D. Lgs. n. 198/2006, la Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Roma Capitale.
Tale intervento si è ritenuto giustificato proprio in ragione del ruolo istituzionale di quest’ultima, che, tra i suoi scopi, ha proprio quello di promuovere l’uguaglianza di genere sul luogo di lavoro e nella società in generale. In tale prospettiva, tale organismo, nel costituirsi in giudizio, aveva prontamente eccepito che la società, sin dalle fasi iniziali del reclutamento del personale, aveva l’onere di rispettare una proporzione numerica sull’assunzione delle lavoratrici madri.
Si è, tuttavia, rilevato che tale doveroso adempimento, tuttavia, non risultava in alcun modo rispettato, proprio in ragione della mancanza di prove fornite in tal senso nel corso dell’istruttoria.
Giova richiamare, in tale ottica, le norme di riferimento del D.lgs. n. 198/2006, volto ad approntare una serie di misure volte a eliminare ogni discriminazione basata sul sesso che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo tra cui quello dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione.
L’art. 26 individua una serie di condotte ritenute discriminatorie da1 legislatore e, con riferimento specifico alla posizione del datore di lavoro, il comma 3 ter prevede che: “I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.
Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza (R. Guastini, La grammatica di «eguaglianza», in LD, 1992, n. 2, 205 ss.).
L’art. 36 dispone, infatti, che chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei divieti di cui al capo Il del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (V. Picone, Parità di trattamento e principio di non discriminazione nell’ordinamento integrato, in Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”, 2015, n. 127, 5).
Ferme restando le azioni in giudizio di cui all’articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parità delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 e regionali competenti per territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla propria giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.
La disposizione richiamata – al fine di comprenderne la ratio – deve essere letta in combinato disposto con quella di cui all’art. 55 ter del D.lgs. 165/2001.
Essa fa espresso riferimento alle controversie introdotte avverso ad ogni trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternità. Di rilevo, ai fini della presente indagine, inoltre, è l’art. 55 quinquies: esso prevede che, in caso di violazione dei divieti di cui al1’articoIo 55 ter, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione (Cfr. M. Zanichelli, Il valore dell’uguaglianza nella prospettiva del diritto, in La Società degli Individui, 2011, n. 42, 33 ss.).
La vicenda veniva decisa, in primo grado, con decreto ex art. 38, del D. Lgs. n. 198/2006, emesso dal Tribunale di Roma in data 23 marzo 2022.
Il giudice, in tale decisione, accertava la discriminazione posta in essere da parte della Compagnia Aerea per la mancata assunzione delle lavoratrici in gravidanza, condannando la società al risarcimento del danno da perdita di chance, quantificato in 15 mensilità delle relative retribuzioni (vedasi A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, 2012, 48; M. Salvagni, La mancata assunzione di lavoratrici in gravidanza configura una discriminazione: ITA Airways condannata a pagare il risarcimento del danno da perdita di chance anche in funzione dissuasiva, in LPO News, del 13 aprile 2022. Amplius v. R. Santucci, Parità di trattamento, contratto di lavoro e razionalità organizzative, Giappichelli, 1997, 16-18).
Di particolare interesse, in tal senso, è la ricostruzione ermeneutica del giudice di prime cure in punto di onus probandi.
Il giudice osservava che non fosse necessaria la prova della conoscenza e dell’intento consapevolmente discriminatorio in ragione dello stato di gravidanza, in quanto la discriminazione opera oggettivamente (e non soggettivamente).
Ciò è statuito espressamente dall’art. 40 del D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Con particolare riguardo, poi, al secondo argomento difensivo della società (ossia quello, precipuamente, relativo al possesso di un’adeguata certificazione che consentisse l’espletamento della prestazione), a parere del Tribunale l’iter argomentativo risultava smentito dalla documentazione in atti.
Le ricorrenti, infatti, al momento in cui avevano presentato istanza per partecipare alla selezione, erano in possesso dei requisiti per ottenere l’abilitazione di volo per operare a bordo in qualità di membro di equipaggio di cabina (anche perché le lavoratrici già possedevano tale requisito quali assistenti di volo della precedente Compagnia Aerea).
In ordine, poi, alla tutela applicabile in considerazione dell’accertamento della condotta discriminatoria, il giudice non accoglieva la domanda delle ricorrenti volta ad obbligare la società ad assumerle, esorbitando dal potere giudiziale la costituzione coattiva di un rapporto di lavoro. Condanna, questa, che verrebbe a confliggere con le prerogative riconosciute al datore di lavoro in base ai principi espressi dall’art. 41 Cost. (N. Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi, 1995, 30).
Ripercorrendo brevemente il giudizio di seconde cure, giova rilevare che la Corte di Appello di Roma ha censurato la sentenza del Tribunale di Roma per non aver valutato correttamente che, secondo la ripartizione degli oneri probatori stabiliti dalle norme antidiscriminatorie.
In particolare, le lavoratrici avevano dedotto e, quindi, allegato: a) di essere in stato di gravidanza; b) di non essere state chiamate per partecipare alla selezione; c) avendo peraltro indicato, ai fini statistici e presuntivi, i nominativi di altre sette lavoratrici che, trovandosi anche loro nelle medesime condizioni delle istanti, non erano state chiamate a partecipare alla selezione e, conseguentemente, non erano state assunte (N. Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, 1999, 247; L. Gianformaggio, L’eguaglianza e le norme, in L. Gianformaggio, M. Jori (a cura di), Scritti per Uberto Scarpelli, Giuffrè, 1997, 406).
Al riguardo, la Corte territoriale ha osservato che, a fronte di tali precise “allegazioni”, la società era onerata a dimostrare il fatto contrario, ovvero di Secondo la Corte, premesso che non assume rilievo la mancanza dei criteri di selezione, non vertendosi in materia di procedura concorsuale, avendo proceduto la società – stante la pacifica inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 2112 c.c.- ad assunzioni ex novo, non sembra condivisibile l’impostazione difensiva della società che fonda l’esclusione delle candidature in oggetto.
Sulla scorta delle predette evidenze probatorie, il Collegio ha accertato, dunque, la discriminazione lamentata (D. Gottardi, Dalle discriminazioni di genere alle discriminazioni doppie o sovrapposte: le transizioni, in DLRI, 2003, n. 99-100, 447 ss.).
Né a diverse conclusioni può giungersi, secondo il Collegio, sul presupposto della mancanza di prova della consapevolezza dell’azienda dello stato di gravidanza delle candidate, dal momento che la tutela approntata dal d.lgs. n. 198/2006 opera sul piano oggettivo della violazione, a prescindere dall’accertamento o meno dell’intenziona1ità del comportamento discriminatorio adottato, come è dato ricavare dal tenore dell’art. 40 d.lgs. cit. che riconduce alla sussistenza di elementi di fatto anche di carattere statistico, la presunzione di comportamenti discriminatori, in assenza della prova contraria a carico della parte convenuta.
Sul piano eminentemente fattuale, si rileva come il datore di lavoro non abbia, in concreto, proceduto a convocare, selezionare ed assumere altre lavoratrici in gravidanza.
Tale circostanza è sintomatica e determinante, valendo quale elemento di comparazione e verifica per escludere l’invocata discriminazione. Tale prova, secondo la ricostruzione della Corte capitolina, la società non ha in alcun modo fornito in giudizio.
A parere dei giudici di secondo grado, l’istruttoria, invece, aveva dimostrato che il piano di assunzione previsto per il periodo 2021-2025, e formalizzato con Accordi Sindacali, aveva programmato complessivamente l’assunzione di 5.750 lavoratori, mediante incrementi progressivi e che, al momento del giudizio, era stato realizzato per oltre il 50%. Infatti, la teste chiamata dalla stessa società, ossia la coordinatrice della gestione del personale di terra e viaggiante, aveva confermato che, con riferimento agli obiettivi previsti per le nuove assunzioni, era risultato che vi erano state circa 2.925 assunzioni nel 2022, e circa 1.675 nel 2021.
Pertanto era emerso che, all’epoca dei fatti, rispetto all’obiettivo del piano assunzionale, la fase del reclutamento non poteva considerarsi solo all’inizio; nel tempo, peraltro, secondo i dati sopra evidenziati, la situazione delle assunzioni non era mutata.
L’unica circostanza costante, rispetto alle selezioni e alle assunzioni effettuate dalla società, era, pertanto, la mancata considerazione e selezione delle candidate in stato in gravidanza (Una «stretta connessione logica e giuridica» secondo A. Lassandari, Le discriminazioni nel lavoro. Nozione, interessi, tutele, Cedam, 2010, 1; S. Scarponi (a cura di), Diritto e genere. Analisi interdisciplinare e comparata, Cedam, 2016).
Né – secondo la Corte – può essere di ostacolo alla ricostruzione volta alla tutela reale ed obbligatoria delle lavoratrici il principio di libertà imprenditoriale sancito dall’art. 41 Cost., poiché la tutela invocata in questa sede in base al d.lgs. n. 198/2006 non opera sul piano di obbligazioni derivanti da norme che regolano il rapporto di lavoro ma si muove del diverso ambito rispondente all’esigenza di eliminare gli effetti pregiudizievoli dipendenti da prassi atti o comportamenti discriminatori. Arrestarsi al mero accertamento della condotta discriminatoria, senza ulteriori conseguenze, secondo tale ricostruzione ermeneutica, vanificherebbe l’intento del legislatore che vuole invece approntare una tutela piena e specificamente volta alla rimozione degli effetti degli atti discriminatori, che non sarebbe perseguita limitando il provvedimento ai soli aspetti dichiarativi e risarcitori (G. De Simone, Dai principi alle regole. Eguaglianza e divieti di discriminazione nella disciplina dei rapporti di lavoro, Giappichelli, 2001, 1 ss.; vedasi anche L. Ferrajoli, La differenza sessuale e le garanzie dell’uguaglianza, in DD, 1993, n. 2, 50 ss. Secondo Ferrajoli, infatti, «In tutti i casi l’uguaglianza è connessa ai diritti fondamentali: a quelli di libertà in quanto diritti all’uguale rispetto di tutte le “differenze”; a quelli sociali in quanto diritti alla riduzione delle “disuguaglianze”»).
I giudici di secondo grado, viste tali evidenze probatorie, che confermavano la mancata assunzione di prestatrici in stato di gravidanza, hanno, dunque, ritenuto accertata la discriminazione.
Infatti, a parere del Collegio la discriminazione, alla luce delle tutele approntate dal D. Lgs. n. 198/2006, opera obiettivamente a prescindere sia della conoscibilità da parte del datore dello stato di gravidanza sia dell’accertamento della intenzionalità della condotta discriminatoria adottata.
È, dunque, principio consolidato, in materia di discriminazioni basate sul sesso, come confermato dalla Corte di cassazione con riferimento all’art. 40 del D. Lgs. n. 198/2006 (cfr. sul punto i provvedimenti di legittimità citati dalla sentenza in esame: Cass. ord. n. 3361/2023; Cass. 5476/2001 e conf. Cass. 255543/18), che vi sia una attenuazione del regime probatorio in favore della parte ricorrente, la quale “è tenuta solo dimostrare un’ingiustificata differenza di trattamento o una posizione di particolare svantaggio, dovute al fattore rischio tipizzato dalla legge, competendo poi al datore la prova dell’assenza della discriminazione”. Presupposti questi che trovano ulteriore forza cogente grazie alle disposizioni stabilite sia dall’art. 28 del D. Lgs. n. 150/2011, che consentono la prova presuntiva di ordine statistico, sia dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (Cfr. A. Occhino, La questione dell’eguaglianza nel diritto del lavoro, in RIDL, 2011, n. 1, I, 95 ss.).
Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario
Visualizza il documento: App. Roma, 6 febbraio 2024, n. 475
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