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Sull’assenza dell’obbligo di istituire un ufficio per i procedimenti disciplinari nella pubblica amministrazione

26 Marzo 2024|

L’articolo 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 introdotto dal d.lgs. n. 150/2009 e sostituito dall’articolo 13, comma 1, lett.c), d.lgs. n. 75/2017, non richiede la costituzione di un apposito ufficio, che si occupi esclusivamente dei procedimenti disciplinari, né l’individuazione esplicita di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un obbligo necessariamente collegiale. Pertanto, non inficia la legittimità della sanzione disciplinare irrogata la mancata preventiva individuazione da parte dell’ente di un autonomo Ufficio dei Procedimenti Disciplinari.La recente ordinanza n. 1016 del 10 gennaio 2024 con cui la Corte di Cassazione, affermando una serie di importanti principi a cui deve attenersi la Pubblica amministrazione nella costituzione e gestione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, ha chiarito che non è richiesta la costituzione di un apposito ufficio, né l’individuazione di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un obbligo necessariamente collegiale.

La terzietà è legata alla distinzione organizzativa, non alla neutralità del datore di lavoro che conduce il giudizio disciplinare. La Corte sottolinea l’importanza di interpretare le regole procedimentali senza eccessivo formalismo, in coerenza con la tutela del diritto di difesa dei dipendenti pubblici.

Pertanto, nei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego occorre evitare ogni inutile formalismo, a condizione che si rispetti il principio della terzietà dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

La citata pronuncia della Cassazione afferma che: “Il principio di terzietà, sul quale riposa la necessaria previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti, postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, sicché lo stesso non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare. Il giudizio disciplinare, infatti, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto che, in quanto tale, non può certo essere imparziale, nel senso di essere assolutamente estraneo alle due tesi che si pongono a confronto l’interpretazione dell’art. 55-bis, comma 4, non può essere ispirata ad un eccessivo formalismo ma deve essere coerente con la sua ratio, che è quella di tutelare il diritto di difesa dei dipendenti pubblici”.

Da queste considerazioni scaturisce la conseguenza che “la disposizione di legge, in base alla sua ratio, non richiede la costituzione di un apposito ufficio, che si occupi esclusivamente dei procedimenti disciplinari, né l’individuazione esplicita di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un obbligo necessariamente collegiale”.

Ed ancora, è da considerare legittimo che la sanzione sia irrogata “dalla figura di vertice dell’ufficio individuato come Ufficio dei procedimenti disciplinari (UPD, il che rappresenta la più ragionevole attuazione della previsione generica contenuta nell’atto di individuazione e la migliore garanzia di difesa per l’incolpato”.

Inoltre, “la necessaria terzietà dell’UPD non può essere intesa in senso talmente rigoroso da considerare un vizio – e tanto meno un vizio a pena di nullità della sanzione – il fatto che l’atto di incolpazione sia stato emesso da un dirigente di grado superiore in funzione di sostituzione gerarchica. Si tratta comunque di un soggetto non appartenente alla struttura nella quale opera il ricorrente, sicché, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla legittimità della sostituzione, non vi è motivo di pensare – né il ricorrente ha in qualche modo allegato – che il suo intervento abbia impedito all’incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa”.

Pertanto, afferma la Suprema Corte che “l’interpretazione dell’art. 55-bis, comma 4, non può essere ispirata ad un eccessivo formalismo ma deve essere coerente con la sua ratio, che è quella di tutelare il diritto di difesa dei dipendenti pubblici» (Cassazione sentenze n. 3467/2019 e n. 19672/2019).

Infine, non vi è alcuna previsione che obblighi le amministrazioni ad una composizione collegiale dell’ufficio stesso.

Questi i fatti di causa.

Un funzionario del Ministero degli Affari Esteri e della Collaborazione Internazionale (MAECI), in qualità di ricorrente, si è rivolto al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni, inflittagli dal medesimo Ministero.

Secondo il ricorrente, la sanzione disciplinare era da considerarsi illegittima, e quindi nulla, anche per una serie di vizi formali, tra i quali la mancata preventiva individuazione di un autonomo Ufficio Procedimenti Disciplinari, l’avvio del procedimento con la contestazione effettuata da un dirigente non appartenente a quell’ufficio e il provvedimento finale adottato da uno solo dei componenti del collegio davanti al quale sia era svolta l’audizione dell’incolpato.

Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale ha respinto la domanda del funzionario del MAECI, il quale ha proposto successivamente appello, che è stato a sua volta respinto anche dalla Corte d’Appello di Roma.

Contro la sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha quindi proposto ricorso presso la Corte di Cassazione affidato a due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato “violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bis, comma 2 del D.lgs. n. 165/2001”.

Il ricorrente contesta alla Corte d’Appello di avere ritenuto sufficiente, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di legge di individuare l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale”, la semplice generica attribuzione di tale competenza, nella circolare n. 11 del 9.10.2010, all’Ufficio I, il quale svolge anche molteplici altri compiti. Sostiene che, anche a voler escludere la necessità della costituzione di un apposito ufficio per le sanzioni disciplinari, tuttavia la sua individuazione richiede che ne sia definita la composizione, con la nomina del responsabile e degli altri componenti, cosa che il MAE avrebbe fatto, ma solo con D.M. 5011/bis/475 del 1.10.2015, ovverosia dopo la vicenda oggetto di causa.

Il secondo motivo di censura, «in subordine», riguarda la “violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bis, comma 4, d.lgs. n.165/2001 sotto il profilo della effettuazione della contestazione da parte di soggetto estraneo all’UPD e all’adozione della sanzione non già dal relativo collegio, ma da un solo suo componente”.

Questo motivo censura la legittimità, ritenuta dalla Corte d’Appello, dell’atto di contestazione disciplinare adottato da un dirigente superiore, estraneo all’Ufficio I, in temporanea assenza sia del direttore di questo ufficio, sia del suo vicario. Inoltre, il ricorrente ha ribadito la ritenuta nullità della sanzione in quanto irrogata da una singola persona fisica (il direttore dell’Ufficio I), nonostante la collegialità dell’organo disciplinare che egli desume dalla presenza di tre persone all’audizione dell’incolpato.

I due motivi sono stati ritenuti dalla Corte d’Appello infondati; pertanto, il ricorso è stato rigettato.

La medesima Corte d’Appello si è attenuta ai principi più volte affermati in questa sede di legittimità, laddove ha osservato che “Le argomentazioni dell’appellante… configurano l’UPD come organo terzo di garanzia del pubblico dipendente secondo una prospettazione che non si riscontra nell’interpretazione di tale norma come data dalla giurisprudenza.

Successivamente la Corte di Cassazione ha ribadito che “il principio di terzietà, sul quale riposa la necessaria previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti, postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, sicché lo stesso non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare. Il giudizio disciplinare, infatti, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto che, in quanto tale, non può certo essere imparziale, nel senso di essere assolutamente estraneo alle due tesi che si pongono a confronto» (Cass. Sentenza n. 1753/2017).

In tale contesto, non può essere condivisa la tesi di parte ricorrente secondo cui l’indicazione dell’Ufficio I quale «ufficio competente per i procedimenti disciplinari» (contenuta nella circolare n. 11 del 9.10.2010) non avrebbe potuto essere ritenuta sufficiente quale adempimento dell’obbligo di individuazione di cui all’art. 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001”.    

Infatti, la citata disposizione di legge, in base alla sua ratio, come sopra riportata, non richiede la costituzione di un apposito ufficio, che si occupi esclusivamente dei procedimenti disciplinari, né l’individuazione esplicita di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un obbligo necessariamente collegiale.

Pertanto, alla Pubblica amministrazione, nella costituzione e gestione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, secondo quando stabilito con l’ordinanza n. 1016/2024 della Suprema Corte di Cassazione qui annotata, non è richiesta la costituzione di un apposito ufficio, né l’individuazione di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un organo necessariamente collegiale.

Nicola Niglio, consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 10 gennaio 2024, n. 1016

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