Sulla monetizzazione delle ferie non godute nel pubblico impiego
5 Giugno 2024|Con la recente ordinanza n. 14083 del 21 maggio 2024, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è tornata a ribadire che la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass., Sez. L, n. 21780 dell’8 luglio 2022).
In particolare, precisa la Suprema Corte, sul datore di lavoro grava l’onere di provare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo da consentire che le ferie fossero effettivamente godute formalmente, anche con un invito al lavoratore a fruirne e assicurando che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio non fossero tali da impedirne il godimento (Cass. Sez. 6-L, n. 29844 del 12 ottobre 2022; Cass., Sez. L, n. 18140 del 6 giugno 2022).
Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 giugno 2018, n. 15652, si è pronunciata su un ricorso in materia di retribuzione di ferie non godute da parte di un lavoratore dipendente.
In particolare, la Suprema Corte ha sostenuto che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver offerto un preciso periodo di godimento delle ferie al lavoratore e che quest’ultimo abbia deciso di non aderire alla richiesta, al fine di potersi legittimamente sottrarre alla monetizzazione delle ferie non godute.
Non può quindi ritenersi idoneo ad escludere il diritto del lavoratore alla monetizzazione delle ferie non godute il generico invito rivolto dall’amministrazione di appartenenza ad usufruirne interamente prima del collocamento a riposo «compatibilmente con le esigenze di servizio e con le proprie esigenze».
In questo caso non si tratta infatti di un’intimazione perentoria, ma di una dichiarazione che antepone l’interesse aziendale a quello del lavoratore, senza avvisarlo che, in caso di mancato godimento, le ferie saranno perdute e senza indicargli un termine univoco e definito, diverso da quello, ovvio, della cessazione del rapporto di lavoro.
Pertanto, sussiste il diritto di un pubblico dipendente a percepire l’indennità per ferie non godute, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nel caso in cui l’interessato sia privo di piena autonomia ed insindacabilità nello stabilire quando collocarsi in ferie, e di sussistenza della prova della impossibilità a fruire del diritto alle ferie per causa non imputabile al medesimo dipendente, e, per converso, addebitabile ad obiettive esigenze di servizio ostative al relativo godimento.
Infatti, il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute discende direttamente dal mancato godimento delle stesse, e dal fatto che quest’ultimo non sia stato determinato dalla volontà unilaterale del dipendente; e ciò perché, in presenza di tali condizioni, il carattere indisponibile del diritto alle ferie, di cui all’art. 36 Costi., non esclude l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere lo speciale compenso sostitutivo per le prestazioni effettivamente rese dal dipendente malgrado il divieto.
Meritevole di essere segnalato è anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, consolidato sul punto: “Al pubblico dipendente spetta un compenso sostitutivo delle ferie non godute, che discende, indipendentemente da una normativa espressa che preveda l’indennità, direttamente dal mancato godimento, allorché sia certo che la detta mancanza non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore, bensì da esigenze di servizio; ciò in quanto il carattere indisponibile del diritto alle ferie non esclude l’obbligo del datore di lavoro, anche pubblico di corrispondere un compenso sostitutivo per le prestazioni effettivamente rese dal dipendente malgrado il divieto, non essendo logico far derivare da una violazione dell’art. 36 Costi imputabile alla P.A. il venir meno del diritto all’equivalente pecuniario di una prestazione comunque effettuata” (Con. Stato, Sez. IV, 29 agosto 2002, n. 4332; VI, 5 gennaio 2001, n. 8; V, 30 giugno 1998, n. 985; T.A.R. Umbria, I 23 gennaio 2007, n. 35; T.A.R. Reggio Calabria, 29 maggio 2003, n. 432; T.A.R. Bari, II, 7 aprile 2003, n. 1620; T.A.R. Reggio Calabria, 29 settembre 2000, n. 1528 e T.A.R. Catanzaro, 3 maggio 2011, n. 598).
E ancora: “il pagamento dell’indennità sostitutiva di ferie non godute è dovuto ove sia comprovato dal ricorrente la mancata fruizione delle ferie non godute è dipeso unicamente dalla volontà del lavoratore e non da esigenze di servizio” (Con. Stato, Sez. V, 30 marzo 1998, n. 374); pertanto, “spetta al ricorrente che non ha potuto usufruire delle ferie per fatto risalente all’Amministrazione, indipendentemente da una normativa espressa che la preveda, il compenso sostitutivo delle ferie non godute, in misura pari al doppio della retribuzione” (Con. Stato, Sez. IV, 13 aprile 1992, n. 392).
Inoltre, sempre in applicazione della medesima giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenza 7 maggio 2010, n. 2663), “sussiste il diritto dei dipendenti pubblici di ottenere la monetizzazione delle ferie non godute durante il periodo di aspettativa per motivi di salute culminata con la dispensa dal servizio per inabilità. Tale principio muove da due presupposti concettuali:
a) il primo presupposto è rappresentato (per così dire: ‘a monte’) dalla risposta positiva al quesito relativo al se nel corso del periodo di aspettativa per infermità possa ammettersi che il lavoratore maturi il diritto al congedo ordinario;
b) il secondo presupposto è rappresentato dalla risposta – parimenti positiva – al quesito relativo al se possa ritenersi che il congedo in tal modo maturato sia monetizzabile in caso di mancata sua fruizione per cause non dipendenti dalla volontà del dipendente”.
Quanto al primo profilo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che la tesi secondo cui le ferie non maturerebbero durante il periodo di aspettativa per infermità non risulti in alcun modo condivisibile, atteso che il diritto del lavoratore alle ferie annuali (tutelato dall’art. 36 della Costituzione) è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma altresì (come riconosciuto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2001, soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore (Con. Stato, Sez. VI, sento. 1084 del 2009, cit.).
Quanto al secondo dei richiamati profili, si osserva che i principi dinanzi sinteticamente richiamati sono stati applicati dalla maggioritaria (e qui condivisa) giurisprudenza amministrativa nel senso che il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute durante il periodo di aspettativa spetti anche al lavoratore successivamente dispensato dal servizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. 6227/05; id., Sze. VI, sent. 2520/01; id., Sez. V, sent. 2568/05; id., Sez. IV, sento. 2964/05).
In applicazione della recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III del 2 novembre 2023 n. 9417, va riconosciuto il diritto dei dipendenti pubblici di ottenere la monetizzazione delle ferie non godute e, in particolare, il compenso sostitutivo per i giorni di congedo ordinario non fruiti, ove il mancato godimento del periodo feriale sia dipeso da assenza continuativa del dipendente, dovuta a malattia e il dipendente stesso, successivamente, sia stato collocato a riposo, per inidoneità permanente al servizio.
Infatti, il mancato godimento delle ferie non imputabile al dipendente, non preclude di suo l’insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo; si tratta, invero, di un diritto che per sua natura prescinde dal sinallagma prestazione lavorativa-retribuzione che governa il rapporto di lavoro subordinato e non riceve, quindi, compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività del servizio.
Il Tar Sardegna, Sez. II, con la sentenza 8 marzo 2019 n. 211 ha riconosciuto il diritto dei dipendenti pubblici di ottenere la monetizzazione delle ferie non godute e, in particolare, il compenso sostitutivo per i giorni di congedo ordinario non fruiti, ove il mancato godimento del periodo feriale sia dipeso da assenza continuativa del dipendente, dovuta a malattia e il dipendente stesso, successivamente, sia stato collocato a riposo, per inidoneità permanente al servizio.
Infatti, il mancato godimento delle ferie non imputabile al dipendente, non preclude di suo l’insorgenza del diritto alla percezione del compenso sostitutivo; si tratta, invero, di un diritto che per sua natura prescinde dal sinallagma prestazione lavorativa-retribuzione che governa il rapporto di lavoro subordinato e non riceve, quindi, compressione in presenza di altra causa esonerativa dall’effettività del servizio.
Nella motivazione della suindicata sentenza, è stata richiamata, a conforto, la sentenza 13 marzo 2018 n. 1580 della Sez. IV del Consiglio di Stato, secondo cui: “il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute dal pubblico dipendente, anche in mancanza di una norma espressa che preveda la relativa indennità, discende direttamente dallo stesso mancato godimento delle ferie, in armonia con l’art. 36 Cost., quando sia certo che tale vicenda non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia a lui comunque imputabile, e dunque anche in caso di cessazione dal servizio per infermità; ciò in quanto il carattere indisponibile del diritto alle ferie non esclude l’obbligo della stessa Amministrazione di corrispondere il predetto compenso per le prestazioni effettivamente rese, non essendo logico far discendere da una violazione imputabile all’Amministrazione il venir meno del diritto all’equivalente pecuniario della prestazione effettuata; analoga conclusione deve trarsi ove le ferie non siano state fruite per cessazione dal servizio per infermità”.
Nell’ambito della giurisprudenza ordinaria merita richiamare, tra le tante, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro – del 26 novembre 2014 n. 25159, ha affermato che “Il lavoratore non può scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività dell’impresa e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (1). Pertanto, nel caso in cui, a fronte della richiesta della lavoratrice di fruire periodi di ferie, la risposta della società, assolutamente chiara ed inequivocabile, sia stata quella di autorizzare solo alcune giornate di ferie, le ulteriori pretese ferie di fatto godute dalla lavoratrice, sono da ritenere frutto di una illegittima autodeterminazione e collocamento unilaterale in ferie da parte della stessa, in contrasto con l’art. 2109 c.c. (e conseguentemente, inoltre, come accertato dalla Corte di merito, con l’art. 53 del c.c.n.l. di categoria che sanziona col licenziamento le assenze ingiustificate per oltre dieci giorni”.
Recentemente si è espressa anche la Corte di Giustizia UE, Sez. I, la quale con la sentenza 18 gennaio 2024, C-218/22, ha affermato che “L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà”.
In via preliminare, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione europea, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88. Pertanto, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, il quale dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali, riflette e concretizza il diritto fondamentale a un periodo annuale di ferie retribuite sancito dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Tornando all’ordinanza n. 14083/2024 della Corte di Cassazione, la medesima ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva; pertanto, non è idonea a fare ritenere assolto tale onere la comunicazione con la quale la P.A. chieda al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l’avviso menzionato e subordinando, comunque, l’utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative».
Nella motivazione della decisione qui annotata – che ha operato una analitica e completa ricostruzione del suindicato quadro normativo e giurisprudenziale riferito alla questione della monetizzazione delle ferie – è stata richiamata, a conforto, proprio la suindicata pronuncia della Corte di Giustizia U.E.
In conclusione, il calcolo delle ferie non godute si basi sulla moltiplicazione del numero di giorni di ferie non utilizzati per il valore giornaliero del salario. Questo è particolarmente rilevante in caso di cessazione del rapporto di lavoro, per licenziamento o dimissioni.
Nicola Niglio, consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Scuola Nazionale dell’Amministrazione
Visualizza il documento: Cass., ordinanaza 21 maggio 2024, n. 14083
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