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Sulla compatibilità tra l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità risarcitoria prevista dall’art. 18, comma 5, statuto lavoratori

4 Agosto 2024|

L’oggetto del giudizio e le soluzioni offerte dalla Suprema Corte

L’ordinanza della Corte di cassazione n. 3247 del 5 febbraio 2024 affronta una questione di un certo interesse, ovvero la compatibilità tra l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità risarcitoria prevista dall’art.18, comma 5, della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012. La questione centrale riguarda la possibilità per il lavoratore di ricevere sia l’indennità sostitutiva del preavviso sia l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo.

La Corte sottolinea la funzione del preavviso nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che è quella di preavvertire la parte che subisce il recesso dell’estinzione prossima del rapporto, consentendole di prepararsi alla nuova situazione. L’indennità sostitutiva del preavviso ha quindi lo scopo di compensare la parte per la mancata osservanza di tale obbligo.

La Corte affronta la questione dell’indennità “omnicomprensiva” prevista dall’art.18, comma 5, della legge n. 300/1970, sottolineando che questa è destinata a risarcire il lavoratore per l’illegittimità del licenziamento, ma non esclude il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, che risponde a una logica e a una funzione differente.

Viene respinta l’interpretazione secondo cui l’indennità omnicomprensiva escluderebbe ogni altro diritto del lavoratore, inclusa l’indennità di preavviso. La Corte utilizza un’interpretazione sistematica e teleologica della normativa, in linea con i principi costituzionali, per affermare che le due indennità hanno fondamenti e scopi diversi e possono quindi coesistere.

La sentenza evidenzia come negare l’indennità sostitutiva del preavviso in caso di licenziamento illegittimo potrebbe violare il principio di uguaglianza, trattando diversamente situazioni analoghe in base alla scelta arbitraria del datore di lavoro di concedere o meno il preavviso.

Viene sottolineata la diversa rilevanza e il diverso trattamento ai fini previdenziali delle due indennità, ulteriore dimostrazione della loro autonomia e compatibilità.

La Corte di cassazione, con la sentenza in esame, fornisce un’interpretazione della normativa che rafforza la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, riconoscendo la compatibilità e la cumulabilità tra l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità risarcitoria omnicomprensiva. Questa decisione si inserisce in un percorso di consolidamento giurisprudenziale volto a garantire una protezione efficace dei diritti dei lavoratori, nel rispetto dei principi costituzionali e della coerenza del sistema normativo in materia di diritto del lavoro.

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Venezia, accolto in parte il reclamo proposto da una compagnia aerea ed accertata l’illegittimità del licenziamento intimato a un lavoratore, dichiarava risolto il rapporto di lavoro con effetti dalla data di recesso e condannava la società a corrispondere al lavoratore una indennità commisurata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto mensile, pari ad Euro 4.036,74, nonché a corrispondere l’indennità di mancato preavviso pari ad Euro 22.654,65 oltre accessori e spese nei termini di cui in sentenza.

A fondamento della sentenza la Corte d’appello, ha accolto il motivo di reclamo della società datrice di lavoro e, diversamente dal primo giudice, ha ritenuto sussistente il fatto addebitato e la sua rilevanza dal punto di vista disciplinare; tuttavia, alla luce dei fatti concreti, ha escluso la proporzionalità della sanzione irrogata e la riconducibilità del comportamento commesso ad una previsione disciplinare lieve in relazione alle ipotesi tipiche previste dalle parti collettive per l’applicazione di una sanzione conservativa; andava accordata dunque al lavoratore la sola tutela indennitaria forte, tenuto conto che l’inadempienza commessa non era così grave da giustificare il recesso immediato del rapporto, né la risoluzione con preavviso per notevole inadempimento degli obblighi lavorativi. Per quanto riguarda la tutela, la Corte d’appello ha affermato in primis che spettasse al lavoratore l’indennità legale in misura pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; ed inoltre ha affermato che, in conformità alla richiamata giurisprudenza di legittimità, andasse liquidata anche l’indennità di mancato preavviso considerata la sua peculiare funzione volta a risarcire il danno derivante dalla risoluzione improvvisa del rapporto a tempo indeterminato, rispetto a quella della indennità risarcitoria prevista dal legislatore quale penale per il danno derivante dall’illegittimità del licenziamento.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la compagnia aerea con un motivo di ricorso a cui ha resistito il lavoratore.

Motivi della decisione di legittimità

Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 18, comma 5 legge 20 maggio 1970 n. 300  in relazione all’articolo 360  c.p.c. numero 3, avendo la Corte d’appello errato nell’interpretazione e applicazione del quinto comma dell’articolo 18 cit. come riformulato dalla legge n. 92 del 2012  per aver riconosciuto il diritto a percepire sia l’indennità risarcitoria, sia l’indennità sostitutiva del preavviso anche ove il licenziamento fosse stato irrogato per giusta causa. Secondo la ricorrente siffatta interpretazione, che ricalca un orientamento della Suprema Corte, non sarebbe supportata da alcuna valida argomentazione, finirebbe inevitabilmente col porsi in frontale ed insanabile contrasto con la lettera del testo normativo ed ignorerebbe altresì totalmente l’evolversi della disciplina giuridica dell’atto datoriale di recesso dal rapporto di lavoro subordinato.

Secondo la ricorrente il testo della norma sarebbe infatti assolutamente chiaro là dove prevede che il giudice dichiari risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e riconosca una indennità risarcitoria onnicomprensiva; avendo l’indennità risarcitoria in questione carattere omnicomprensivo non può quindi aggiungersi a, o essere integrata da, qualsivoglia ulteriore erogazione a carico del datore di lavoro recedente; anche perché si sarebbe al cospetto di licenziamenti erogati sulla base di fatti sussistenti ma non ritenuti tali da poter configurare l’ipotesi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.

Non sorgendo particolari dubbi sul contenuto della disposizione normativa, ad avviso della ricorrente, non sarebbe consentito al giudice di ricorrere a canoni ermeneutici tipicamente sussidiari ed in particolare all’interpretazione teleologica che si fonda sulla funzione e sullo scopo della norma.

Il motivo di ricorso, secondo il parere della Corte di legittimità, deve essere disatteso, dovendo darsi continuità e consolidare il motivato indirizzo contrario, il quale si sottrae alle critiche formulate nel giudizio dalla difesa della ricorrente.

Come già osservato da Cas. n. 18508/2016  – poi ripresa dalla più recente Cass. n. 14192/2018  – salvo che ricorra una giusta causa, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato il recesso deve essere comunicato dal recedente rispettando il termine di preavviso fissato dalla legge, dai contratti collettivi o in difetto, dagli usi o secondo equità (art.2118 c.c.). Scopo del preavviso è quello di preavvertire tempestivamente il lavoratore dell’estinzione prossima del rapporto, onde consentirgli di adoperarsi nella ricerca di una nuova occupazione (vedi ex plurimis Cass. 29/3/2010 n.7531).

Come bene evidenziato nell’interpretazione corrente, l’esigenza che soddisfa l’istituto del preavviso è che la parte che subisce il recesso non si trovi all’improvviso di fronte alla risoluzione del contratto, e, quindi, in caso di dimissioni, il datore di lavoro abbia il tempo di reperire un nuovo lavoratore e, in caso di licenziamento, il lavoratore non sia privato improvvisamente dei beni della vita che dal posto di lavoro derivano ed abbia tempo di reinserirsi in un rinnovato contesto lavorativo. In tal senso la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di rimarcare come nella disciplina posta dall’art. 2118  c.c. il preavviso abbia la funzione economica di attenuare le conseguenze della interruzione del rapporto per chi subisce il recesso.

Alla medesima funzione va ricondotta l’indennità sostitutiva prevista dalla stessa norma per il caso di violazione del preavviso, in cui tale erogazione appare riferibile non al risarcimento di un danno in senso giuridico (che presuppone un illecito), ma ad un danno in senso economico (vedi in motivazione, Cass. 28/3/2011 n. 7033).

La menzionata sentenza n. 18508/2016 ricorda inoltre che in ulteriori arresti della Corte è stato ribadito – in relazione a fattispecie di licenziamento illegittimo per carenza di giusta causa e con applicazione della mera tutela indennitaria secondo il regime anteriore alla disciplina introdotta dalla legge n. 92 del 2012  – che il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco, di guisa che, stante la diversità di funzioni, esso non è incompatibile con la prestazione che risarcisce i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa o giustificato motivo (vedi ex plurimis, Cass. 19/11/2015 n. 23710; Cass. 16/10/2006 n. 22127 ).

Può quindi affermarsi, in coerenza con gli enunciati principi, che la tutela “indennitaria risarcitoria” sancita dall’art.18, comma 5, l. n. 300/70 modificato ex lege 28/6/2012 n. 92 , non escluda il diritto del lavoratore a percepire anche l’indennità di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno anche all’esito della novella del 2012, quelle esigenze proprie dell’istituto, di tutela della parte che subisce il recesso volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita della situazione occupazionale, né autorizzando la lettera e la ratio ad essa sottesa della disposizione, la restrittiva opzione ermeneutica prospettata dalla società.

Pertanto, alla stregua delle premesse il ricorso è stato respinto.

La rinuncia al preavviso offerto dalla controparte recedente

Nell’ordinanza n. 2793 del 2021, la Corte di cassazione, attribuendo all’indennità sostitutiva del preavviso efficacia obbligatoria (come peraltro la giurisprudenza predominante), ammette altresì che la parte non recedente, che abbia rinunciato allo svolgimento del preavviso, nulla debba alla controparte.

La pronuncia del 14 marzo 2024, n. 6782 (sulla quale, vedi, in senso critico, F. Capurro, Rivistalabor.it aggiornamenti, 19 maggio 2024, Davvero il preavviso offerto in servizio può essere legittimamente rinunciato dalla parte receduta?), si muove in linea di continuità con quanto disposto dalla Corte nel 2021, ricalcando in modo quasi del tutto analogo sia la fattispecie che ha originato il ricorso che la conclusione adottata dalla Suprema Corte di cassazione.

Nel caso del 2021, infatti, una lavoratrice dimissionaria, nonostante non avesse lavorato durante il periodo di preavviso, con ricorso a giudizio, aveva ottenuto il diritto all’indennità sostitutiva in primo e in secondo grado.

La Corte di cassazione, con posizione contraria rispetto a quella assunta da parte dei giudici di merito, sostiene che laddove la Società o il datore di lavoro rinuncino all’attività lavorativa svolta da parte del dipendente dimissionario durante il periodo di preavviso, non sussiste alcun obbligo di corresponsione della predetta indennità. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di primo e secondo grado, la Suprema Corte non individua un interesse giuridicamente tutelato per la prosecuzione del rapporto fino al termine del preavviso, posto che la dimissione rappresenta la manifestazione volontaria del lavoratore di porre fine al rapporto lavorativo.

Infatti, se da un lato è vero che la mancata erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso costituisce un minor introito nei confronti del lavoratore, è altresì vero, dall’altro lato, la medesima non pregiudica i diritti del lavoratore dimissionario per quanto attiene alle competenze maturate fino alla fine del rapporto di lavoro: retribuzione, ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie e permessi maturati e non goduti, Trattamento di Fine Rapporto.

Pasquale Dui, avvocato in Milano e professore a contratto nell’università di Milano-Bicocca

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 5 febbraio 2024, n. 3247

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