La Cassazione ritorna sui limiti regolati dall’art. 26 st. lav. in materia di proselitismo nel luogo di lavoro
13 Novembre 2024|La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza 13 settembre 2024, n. 24595, qui annotata, ha ribadito l’importanza dei limiti che il primo comma dell’art. 26 st. lav. stabilisce nei confronti dei lavoratori che esercitano attività di proselitismo nel luogo di lavoro.
La disposizione prevede che «i lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale». Il caso giudicato dalle corti di merito era quello di un lavoratore che, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, aveva attaccato al petto e alla schiena due stampe in formato A3 di un volantino sindacale a scopo di proselitismo.
I limiti al diritto di proselitismo, che emergono dalla pronuncia, sono il regolare permesso del lavoratore allo svolgimento dell’attività, nonché l’assenza del pregiudizio «per il normale svolgimento dell’attività aziendale, alla luce delle concrete modalità organizzative dell’impresa e del tipo di lavoro cui sono addetti i destinatari delle comunicazioni».
Su tali limiti la Suprema Corte aveva già avuto modo di pronunciarsi in passato (Cass., 19 agosto 1986, n. 5089), affermando la necessità che, «per le modalità e le cautele in concreto adottate, avuto riguardo alle caratteristiche organizzative dell’impresa ed al tipo di lavoro cui siano addetti i destinatari della distribuzione dei volantini, risulti di fatto non pregiudicato l’ordinario svolgimento della vita aziendale, sotto il normale profilo funzionale e produttivo».
La Cassazione, rispetto ai gradi precedenti, ha quindi confermato che la condotta del lavoratore che esercita attività di proselitismo affiggendosi al petto e alla schiena volantini sindacali non può dirsi rispettosa del secondo limite, in quanto questa particolare forma di volantinaggio, per sua natura, rappresenta causa di distrazione continua nei confronti dei colleghi. La condotta va pertanto ritenuta con conforme a quanto previsto dall’art. 26, primo comma, st. lav.
La materia del proselitismo è stata oggetto di interventi in senso evolutivo da parte della Cassazione, la quale ha ad esempio avuto modo di affermare la legittimità del volantinaggio “elettronico”, ossia dell’utilizzo della posta elettronica aziendale per l’invio di comunicazioni sindacali (Cass., 5 dicembre 2022, n. 35643).
La fattispecie si mostra dunque interessata da uno sviluppo interpretativo, essendosi posta l’attenzione sulla necessità di adeguare l’interpretazione della norma statutaria, redatta sulla base di condizioni ormai obsolete o comunque solo parzialmente coincidenti con la realtà odierna, ai cambiamenti derivanti dal progresso tecnologico. È chiaro che, fermi restando i limiti di esercizio del diritto, l’evoluzione interpretativa porta conseguentemente a una modifica dei parametri di valutazione di tali limiti: ad esempio, rispetto al caso del proselitismo “elettronico” intervengono nuove considerazioni circa l’eventuale pregiudizio al normale svolgimento dell’attività aziendale.
Va ricordato che i limiti posti «non hanno lo scopo di confermare il persistente dovere [dei lavoratori] di prestazione lavorativa, che non può venir meno se non in virtù di regolare permesso, quanto per contenere gli effetti dell’indicata iniziativa sindacale sull’attività lavorativa dei destinatari, suscettibile di essere pregiudicata per la potenziale idoneità dell’iniziativa stessa a distoglierli dall’esecuzione normale dei loro compiti di lavoro» (Cass., 19 agosto 1986, n. 5089).
Nella giurisprudenza della Cassazione è stato inoltre affermato che la legittimità dello svolgimento dell’attività di proselitismo durante l’orario di lavoro non andrebbe esclusa a priori, purché non sussistano espressi divieti legali e salvo, naturalmente, il rispetto dei limiti sopra evidenziati (Cass., 19 agosto 1986, n. 5089).
Si noti infine che l’attività di proselitismo si distingue dal diritto di affissione, disciplinato dall’art. 25 st. lav. Quest’ultima norma prevede che «le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro», ed è quindi chiaro che in tal caso titolari del diritto sono le RSA (nonché le RSU) e che in capo al datore sussiste un obbligo di contenuto positivo, a differenza che nel caso del proselitismo. Le due fattispecie presentano dunque una certa somiglianza “fattuale”; tuttavia, mentre il diritto di affissione riguarda rappresentanze sindacali già in essere e rispetto alle quali risulta maturato un diritto a che il datore metta a disposizione uno spazio dedicato, il diritto al proselitismo è più ampio in quanto destinato a tutti i lavoratori, compresi quelli attualmente estranei ai circuiti rappresentativi, e del resto esso può per l’appunto rappresentare un modo per promuovere la nascita di una nuova rappresentanza.
Nel caso del proselitismo, come accennato, in capo al datore sussiste solo un generico obbligo negativo di astensione dall’impedimento dell’attività. Inoltre, trattandosi di un diritto riconosciuto a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro riconducibilità ad una rappresentanza, l’attività di proselitismo viene inquadrata come species del più ampio genus sia della libertà di manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro, di cui all’art. 1 st. lav., sia dell’esercizio della libertà sindacale nei luoghi di lavoro, di cui all’art. 14 st. lav.
Arianna Pavin, funzionario amministrativo e dottoranda di ricerca nell’Università degli Studi di Padova
Visualizza il documento: Cass., 13 settembre 2024, n. 24595
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