È legittimo il licenziamento del lavoratore per giusta causa se «abusa» dei permessi ex art. 33, c. 3, l. n. 104/1992
30 Maggio 2024|La Suprema Corte con la pronuncia in commento (ordinanza, 13 marzo 2024, n 6468) riesamina la fattispecie del diritto (potestativo) del lavoratore di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperti da contribuzione figurativa, «per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità» (art. 33 c.3 l. n. 104/92).
La ratio del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore è «in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà» realizzabile, secondo prevalente orientamento di legittimità, «con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito» (Cass. 2 ottobre 2018, n. 23891).
Orbene ciò che la norma esclude a priori al lavoratore beneficiario nei giorni di permesso è lo svolgimento di attività «incompatibili con l’assistenza del familiare disabile».
È evidente che in tale contesto giuridico particolare rilievo riveste la condotta c.d. «patologica» del lavoratore, fruitore dei permessi, quando si avvale del beneficio per soddisfare esigenze confliggenti e comunque non riconducibili a quelle di natura assistenziale.
Al fine di escludere «un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo» (v. Cass. n. 9217 del 2016) e dunque riconoscere un esercizio coerente del diritto ai permessi con funzione contemplata nella norma citata non può prescindersi dal provare la sussistenza del nesso causale tra le assenze dal lavoro ex legge 104/92 e le attività di assistenza al disabile pena il rischio di licenziamento per giusta causa.
L’abuso del diritto rileva se connotato da gravità c.d. «abuso significativo» (Cass., 24 agosto 2022 cit.) tale da ledere, irreversibilmente, la fiducia fondante il rapporto di lavoro e la realizzazione dei superiori valori di solidarietà sociale.
Peculiare rilievo assume al fine di qualificare le condotte del lavoratore, nell’esercizio dei permessi ex104/92, ora come abusive e lesive ora lecite e ossequiose del dato normativo, l’operato valutativo del giudice di merito volto a accertare, in un ambito dai confini giuridici non ben definiti, se l’esercizio del diritto abbia prioritariamente realizzato lo scopo assistenziale prefissato tassativamente da legislatore o abbia soddisfatto prevalentemente esigenze contrarie a buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.) e soprattutto estranee rispetto a quelle per le quali è attribuito il beneficio (v. tra le tante, Cass., 25 gennaio 2023, n. 2235, in Labor, 24 marzo 2023, con nota di AVANZI, L’abuso dei permessi l. 104 e l’incerto “parametro” dell’obbligazione contrattuale, cui si rinvia, anche per riferimenti ulteriori).
Nel caso di specie, la Corte di Appello, territorialmente competente, conferma la pronuncia di prime cure ritenendo legittimo il licenziamento disciplinare intimato da una Banca al dipendente, assente ingiustificato «a seguito di anomali allontanamenti dal posto di lavoro, soprattutto in connessione con la fruizione di permessi ex lege n. 104/1992 in favore di genitori infermi», accertato che il lavoratore nelle ore di c.d. permesso ex lege n. 104/92 non prestava assistenza ai genitori disabili «in modo rilevante e significativo essendosi dedicato ad altre attività».
Orbene, i giudici di merito, precisano, in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente volto a conciliare i contrapposti interessi delle parti coinvolte, che per un esercizio legittimo del diritto il lavoratore fruitore del permesso non debba far coincidere in modo perfetto ed assoluto le ore di permesso con l’assistenza effettiva prestata al disabile ma «ciò non può essere in alcun modo tradotto nella carenza di assistenza, in favore del disabile, per una buona parte delle ore di permesso retribuito concesse a tale scopo» .
Viene da se che la condotta del lavoratore, all’esame dei giudici di prime cure, nel caso di specie è illecita e dunque idonea a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro nella misura in cui evidenzia in danno del datore di lavoro un « sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali» tale da integrare una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza a cui l’esecuzione del rapporto di lavoro deve necessariamente ispirarsi e altresì in danno dell’ente previdenziale il peso dei relativi oneri.
La Suprema Corte nel caso di specie – licenziamento per giusta causa per abuso dei permessi ex legge 104/92- conferma la pronuncia di merito allineandosi ai precedenti in tema di condotte abusive del lavoratore, fruitore privilegiato di «sospensioni» ex lege del rapporto di lavoro connotate da esigenze meritevoli di superiore tutela dal legislatore e dalla coscienza sociale.
Un’ ottica socio giuridica in cui è legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che predilige alla cura e assistenza del familiare disabile lo svolgimento di altre attività destinate a soddisfare le esigenze personali o non rispondenti alla finalità per la quale il beneficio è concesso ( Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019).
Conclusivamente, la pronuncia della Suprema Corte, pur consolidando orientamenti pregressi, ha il merito di puntualizzare direttamente o per effetto del richiamo di precedenti pronunce aspetti di rilievo sull’esercizio di un siffatto diritto che non impedisce al titolare di provvedere in modo adeguato alle personali esigenze di vita pur dovendo garantire al contempo l’assistenza e la cura del disabile che legittima il beneficio attribuito.
Il lavoratore che si presta a fruire dei permessi ex l. 104/92 non può esimersi dal prestare al familiare disabile che versa in situazione di gravità «un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale» pur nella flessibilità, coerente con la ratio dei permessi, di tipizzare le condotte attuative delle esigenze assistenziali del disabile.
La Suprema Corte lascia al lavoratore l’onere di provare, in ossequio al principio di vicinanza della prova, nell’ipotesi di esercizio arbitrario e/o abusivo del diritto, «il collegamento delle incombenze svolte durante i permessi con l’assistenza» al fine di scongiurare il licenziamento per giusta causa del datore di lavoro.
Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare, sede di Catanzaro
Visualizza il documento: Cass., ordinanza 12 marzo 2024, n. 6468
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