Anche l’appropriazione di beni aziendali di «modico valore» legittima il licenziamento per giusta causa del dipendente
16 Agosto 2024|Con la pronuncia in commento (ordinanza 4 aprile 2024, n. 8918) la Suprema Corte affronta la dibattuta questione del licenziamento per giusta causa del lavoratore che pone in essere condotte lesive riconducibili alla fattispecie di appropriazione di beni aziendali (v., tra le tante, Cass., ordinanza 26 settembre 2023, n. 27353; Cass., ordinanza 19 dicembre 2023, n. 35516; Cass., ordinanza 21 dicembre 2023, n. 35768 in Labor, www.rivistalabor.it, 16 marzo 2024, con nota di TONELLI, Licenziamento e condotta scusabile del lavoratore, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti).
Il fondamento giuridico del licenziamento per giusta causa è ravvisabile nel grave inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dal dipendente tale da giustificare il recesso immediato del datore di lavoro senza alcun preavviso.
Tra le condotte lesive del vincolo fiduciario, e dunque giusta causa di licenziamento, rileva l’appropriazione da parte del lavoratore di beni aziendali anche se di «modico valore». Infatti, la pronuncia in esame, in linea con la prevalente giurisprudenza di legittimità, configura la giusta causa di licenziamento anche se scarsamente rilevante l’entità del danno patrimoniale arrecato al datore di lavoro dalla condotta lesiva del vincolo fiduciario posta in essere dal lavoratore.
Nel caso di specie, la Corte di appello territorialmente competente ha confermato la sentenza del giudice di prime cure sulla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato da una società ad una addetta alla vendita di un supermercato, «per aver messo in busta merce per un valore di € 20,79, aver passato il badge in uscita e, solo dopo essere stata assoggettata ad una ispezione, l’aveva pagata chiedendo il denaro in prestito ad una collega essendone sprovvista», ravvisando in tale condotta una fattispecie appropriativa consumata all’atto dell’ispezione e correttamente sanzionata con il licenziamento.
Nessun rilievo, nel caso di specie, ha la circostanza di fatto che la merce fosse stata concretamente pagata dalla lavoratrice in seguito all’ispezione.
Ricorre in Cassazione la lavoratrice lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 646 c.p. e 2119 c.c. nonché l’art 229 CCNL di settore per avere la Corte territoriale erroneamente ricondotto, «un fatto privo di rilievo» penale e disciplinare alla fattispecie di appropriazione laddove l’integrazione di tale fattispecie richiede l’esercizio sulla cosa sottratta di «un vero e proprio dominio» del lavoratore.
Non si tratta, dunque, per svariate circostanze fattuali di condotta appropriativa bensì di un mero prelievo di merce riposta in una shopper personale : la lavoratrice, per il ruolo svolto in azienda, non aveva il possesso dei beni aziendali, dichiara di voler «recarsi a pagarla» , la fattispecie appropriativa non si è consumata per il mancato allontanamento dal punto vendita, la prova del pagamento della merce escluderebbe la configurabilità dell’appropriazione indebita e/o di furto della merce mentre le condizioni psicofisiche della dipendente, caratterizzate da stati d’ansia e attacchi di panico, escluderebbero l’esistenza dell’elemento psicologico del reato ed ogni rilevanza disciplinare delle condotte tenute. Così argomentando non sussiste appropriazione di beni, non sussiste giusta causa di licenziamento e dunque quest’ultimo è illegittimo.
Di contrario avviso, la Suprema Corte che rigetta il ricorso e puntualizza in primis che l’appropriazione in luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi, a cui fa riferimento l’art. 229 CCNL, non si riferisce alla fattispecie penale ma sanziona i comportamenti violativi del lavoratore tesi a ledere l’affidamento riposto dal datore di lavoro nel lavoratore che opera in un contesto lavorativo in cui vi sono beni esposti alla pubblica fede.
Giustamente la Corte di merito afferma che la fattispecie appropriativa «collettiva» è scollegata dalla fattispecie penale in senso tecnico e sanziona anche la condotta appropriativa meramente tentata. Se è pur vero che la lavoratrice sia stata intercettata immediatamente prima del passaggio all’esterno, sussistono circostanze di fatto, accertate dalla Corte di merito, da cui si desume, inequivocabilmente l’intenzione della lavoratrice di sottrarre i beni nascosti nella busta senza pagarli: la merce prelevata era riposta in una borsa personale contenente altri oggetti personali e la lavoratrice era sprovvista di qualsiasi mezzo di pagamento.
Tali premesse consentono di configurare correttamente la condotta della lavoratrice nella fattispecie di appropriazione come contemplata dalla norma «collettiva» che pretende una particolare correttezza da parte degli addetti alla vendita e del personale che opera in contesti in cui vi sono beni esposti per la vendita al pubblico.
In conclusione, la Corte di cassazione, con la pronuncia in esame, ribadisce la legittimità del licenziamento per giusta causa qualora la condotta del lavoratore sia idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e a mettere altresì in dubbio la futura correttezza degli obblighi contrattuali non attribuendo alcuna rilevanza allo scarso valore economico del bene sottratto al datore di lavoro.
Quest’ultimo aspetto, infatti, non ha la forza giuridica di escludere la fondamentale rilevanza che la lesione del vincolo fiduciario riveste nella fattispecie di licenziamento per giusta causa in cui rileva la ripercussione sul rapporto di lavoro della condotta del lavoratore, non l’assenza o la tenuità del danno patrimoniale, nella misura in cui evidenzia un approccio scarsamente rispettoso degli obblighi di diligenza e fedeltà, imprescindibilmente sottesi al rapporto di lavoro.
Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di Bioimmagini e Sistemi Biologici Complessi, sede di Catanzaro
Visualizza il documento: Cass., ordinanza 4 aprile 2024, n. 8918
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