Show Info

Trasformazione per fatti concludenti del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno: il primato della sostanza sulla forma

15 Aprile 2024|

Con la recente sentenza n. 4354 del 19 febbraio 2024 la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad affermare il principio secondo cui «il costante svolgimento di orario di lavoro a tempo pieno comporta la trasformazione del contratto [di lavoro part time in contratto di lavoro] a tempo pieno; laddove le esigenze del lavoro supplementare possono essere soddisfatte nei termini e nei limiti previsti dal CCNL».

Il giudizio traeva spunto dalla domanda di accertamento giudiziale trasformazione del rapporto di lavoro da part time a full time proposta da un dipendente che aveva «lavorato per quasi tutto il rapporto di lavoro con un orario di lavoro ben superiore … a quello contrattualmente previsto … e pressoché corrispondente a quello previsto per il tempo pieno».

Accertato che il ricorrente aveva effettivamente osservato con continuità un orario di lavoro maggiore rispetto a quello convenuto e paragonabile a quello pieno, la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato che «il rapporto di lavoro a tempo parziale [intercorrente tra le parti] si era trasformato in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa costantemente secondo l’orario nomale o addirittura con orari superiori».

Il datore di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione censurando, per quanto di interesse, «la tesi secondo cui l’espletamento di un orario di lavoro maggiore di quello stabilito nel contratto a tempo parziale sia di per sé in grado di determinare la trasformazione del rapporto a tempo pieno, dato che né la legge né il CCNL prevedono tale esito» e che per «la trasformazione del rapporto necessiterebbe, invece, del consenso scritto di entrambe le parti non desumibile per facta concludentia».

La Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso stabilendo che «in base alla continua prestazione di un orario di lavoro pari a quello previsto per il rapporto di lavoro a tempo pieno, un rapporto di lavoro nato come a tempo parziale possa trasformarsi in un rapporto a tempo pieno, nonostante la difforme, iniziale, manifestazione di volontà non occorrendo alcun requisito formale per la trasformazione di un rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno (cfr. Cass. n. 5520 del 2004; v. pure: Cass. n. 3228 del 2008, Cass n. 6226 del 2009)».

Per i giudici di legittimità non basta ad escludere tale trasformazione il fatto che il lavoro prestato oltre quello contrattualmente previsto sia stato considerato e retribuito come lavoro supplementare e che il lavoratore, pur potendo, non ne abbia rifiutato lo svolgimento.

Infatti, «un conto è la prestazione di orario supplementare, che in presenza di esigenze aziendali nei limiti stabiliti dal CCNL esclude la possibilità di desumere un comportamento concludente; altro conto è l’accertato costante e continuativo svolgimento di un orario di lavoro pari a tempo pieno»; ciò anche perché «se si dovesse dare rilievo al costante e generale ricorso al lavoro supplementare per la costante presenza di esigenze aziendali non si farebbe altro che convalidare la tesi dell’esistenza nei fatti della necessità di ricorrere ad un rapporto di lavoro a tempo pieno».

La sentenza in commento si pone nel solco di una giurisprudenza che la stessa Cassazione definisce ormai consolidata. Analoghi principi, infatti, sono stati affermati in numerose pronunce, tra cui Cass.,19 febbraio 2024 n. 4350 e Cass. 4 dicembre 2018 n. 31342.

A ben vedere il principio cardine su cui si fonda la sentenza in commento è quello della «corrispondenza del trattamento del lavoratore all’effettivo consistenza del proprio impiego» che trova applicazione allorché «si tratti di riconoscere i diritti del prestatore di lavoro per la propria attività, in quanto ciò che risulta decisivo non è il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella concreta attuazione dalla quale sorgono siffatti diritti».

In altri termini, quello della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno per fatti concludenti rappresenta un altro esempio di ciò che potremmo definire il primato della sostanza (come si è svolto effettivamente il rapporto di lavoro) sulla forma (cosa era stato formalmente stabilito nell’iniziale contratto di lavoro). Tale esempio che si aggiunge a numerosi altri casi in cui il concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, soprattutto per la disparità di posizione tra le parti, rileva più dell’iniziale assetto contrattuale formalmente prescelto.

Al riguardo basti pensare al disposto dell’art. 2103, comma 1, c.c. che riconosce non solo il diritto del lavoratore ad essere «adibito alle mansioni per le quali è stato assunto» ma anche il diritto di essere adibito alle mansioni superiori da ultimo «effettivamente svolte».

Si pensi anche alla giurisprudenza consolidata in tema di qualificazione del rapporto di lavoro secondo cui «il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non è … vincolante per il giudice ed è comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione» (cfr. Cass. 25 giugno 2020, n.12707 conforme Cass. 26 giugno 2020, n.12871); ciò perché, «ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo … deve attribuirsi maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, da cui sia ricavabile l’effettiva volontà delle parti, rispetto al nomen iuris da loro adottato» (Cass. 29 ottobre 2019, n. 27725).

Luigi Caruso, avvocato in Milano

Visualizza il documento: Cass., 19 febbraio 2024, n. 4354

Scarica il commento in PDF

L'articolo Trasformazione per fatti concludenti del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno: il primato della sostanza sulla forma sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.