Show Info

Pubblico impiego privatizzato: il ripristino armonioso dell’ordinamento giuridico violato tra esecuzione in forma specifica e discriminazione per handicap nell’accesso al lavoro

21 Maggio 2024|

La pronuncia della Suprema Corte, qui annotata (ordinanza n. 5048 del 26.02.2024) merita di essere attenzionata per l’adozione di un percorso argomentativo meritevole dell’adozione del principio generale della “reintegrazione in forma specifica”, che informa l’intero ordine giuridico (interno ed eurounitario), quale forma satisfattiva piena dell’effettività delle tutele (di chiovendiana memoria, sempre più attuale) e del ripristino armonioso dell’ordinamento giuridico (il ripristino dello status quo ante) violato dalla condotta datoriale.

Quel che continua a stupire, e che merita in tutta parresia di essere rilevata, è invece il fatto che certi valori fondamentali giuridici, afferenti alla discriminazione per disabilità nell’accesso e nelle condizioni di lavoro (Direttiva 78/2000/CE – D.Lgs. 216/2003 e L. 68/99) ed alla compiuta garanzia della effettività delle tutele e della sua coniugazione attraverso il principio generalissimo di reintegrazione quale rimedio principe di ogni risarcimento del danno di origine contrattuale od extracontrattuale (ove materialmente possibile e solo in diverso caso suscettibile di valutazione economica), sfuggano spesso ai “piani bassi” dell’ordinamento giudiziario; quegli stessi piani dove, almeno per prossimità, la sensibilità dell’operatore del diritto dovrebbe essere maggiore (per quantità e qualità) e la risposta di Giustizia dovrebbe essere pronta ed efficace.

Non è un caso, ed è un segno dei tempi, che la macchina giurisdizionale viene ad essere percepita, dalla collettività diffusa che vi si relaziona, come disgregativa e affetta da derealizzazione adulterina (in perfetta eterogenesi dei fini); col che relegando, sempre più spesso, la soddisfazione delle esigenze primarie di Giustizia alla Cassazione (che, da organo di controllo di ultima istanza, sta sempre più diventando, negli ultimi due decenni di più, organo di “prima istanza”).

Il caso, nello specifico, riguarda l’assunzione di un disabile, iscritto nelle liste del collocamento speciale di cui alla L. 68/1999, da parte dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta, dichiarato dapprima idoneo al lavoro e poi dichiarato dall’ASP, con provvedimento del 08.09.2011, non idoneo alle mansioni di operatore socio-economico con qualifica contrattuale Bs; “il Tribunale, previo espletamento di c.t.u. medico-legale, accoglieva parzialmente il ricorso e dichiarava illegittimo il rifiuto dell’ASP di stipulare il contratto di lavoro a conclusione dell’iter di avviamento obbligatorio, condannando l’Azienda al risarcimento del danno, liquidato in complessivi €. 44.834,99; la Corte d’appello, adita dallo stesso lavoratore che lamentava la mancata adozione del dictum costitutivo del rapporto di pubblico impiego ex art. 2932 cod. civ., rigettava l’impugnazione”.

Le censure che presiedono alla pronuncia rescindente collegiale vengono articolati in due motivi, concorrenti tra di loro:

  • per “violazione e falsa applicazione della legge n. 68/1999 e dell’art. 2932 cod. civ., della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000, nonché dell’art. 5, del c.c.n.l. Comparto Sanità, allegato 1 (declaratoria categoria B e profilo economico Bs), per avere ritenuto la Corte di merito preclusa la costituzione del rapporto di lavoro ex art. 2932 cod. civ., pur nella riconosciuta idoneità – seppure con rigide prescrizioni a tutela degli utenti – allo svolgimento delle mansioni per come accertata dal c.t.u. e nella corrispondenza tra qualifica richiesta dall’azienda di operatore sociosanitario, cat. Bs, e quella posseduta dal lavoratore”;
  • per “violazione del principio di non discriminazione, a tutela dei lavoratori con handicap, dell’art. 3 comma 3 bis d. lgs. n. 216/2003, degli artt. 32-38 Cost., dell’art. 10 legge n. 68/1999, dell’art. 2087 cod. civ., della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000, articolo 5; il diniego dell’ASP di costituire il rapporto di lavoro, benché fossero già definiti tutti gli elementi essenziali del rapporto (mansioni, retribuzione e qualifica), integra una violazione del principio di parità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap di cui all’art. 5 della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000 – che fa obbligo a tutti i datori di lavoro di adottare “accomoda menti ragionevoli per garantire a i disabili la piena uguaglianza con gli altri lavoratori” – e all’art. 3 d.lgs. n. 216/2003”.

La S.C. evidenzia come il cuore della questione afferisca alla omessa pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ragione dell’assunto della Corte nissena secondo cui le prescrizioni limitative alle mansioni, emerse dalla c.t.u. (“a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza con cui egli poteva venire in contatto”) e da intendersi come adattamenti ragionevoli ai sensi dell’art. 5 della Direttiva 78/2000/CE, impedivano la costituzione del negozio giuridico perché necessitavano di una «preventiva concertazione tra le parti, non sostituibile da quella imposta dal giudice» e da qui l’impossibilità di «far luogo all’attivazione del rimedio ex art. 2932 cod. civ.».

Ossia, “essenzialmente sul rilievo che il sistema delle assunzioni obbligatorie è strutturato in modo tale da dar luogo all’obbligo del datore di lavoro di stipulare il contratto con i soggetti avviati dall’UPLMO, ma non alla costituzione automatica e autoritativa del rapporto, la cui nascita richiede necessariamente l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del suo contenuto in ordine ad elementi essenziali quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica; nel solco di tale impostazione, si è ritenuto che il lavoratore non può esperire, ove l’obbligo del datore di lavoro sia rimasto inadempiuto, il rimedio dell’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., ma ha (soltanto) il diritto a !l’integra le risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo de I protrarsi di detto inadempimento (ex pfurimis, Cass. n. 4853 del 1998, Cass. n. 488 del 2009, Cass. n. 8593 del 2019)”.

Gli Ermellini, invece, mettono in evidenza che la pronuncia costituiva (espressamente disciplinata dall’art. 63 comma 2 del D.Lgs. 165/2001, “che si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2932 cod. civ.”) era attuabile proprio in ragione della determinazione legale “ad opera delle parti degli elementi essenziali del contratto, quali la qualifica, la retribuzione, l’eventuale periodo di prova ecc. Tant’è che in caso di insussistenza di tale necessità, come ad esempio nella ipotesi in cui è la legge medesima a prevedere la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, non sono stati ravvisati ostacoli a Ila possibilità di tutela costitutiva (v., ad esempio, Cass. n. 15913 del 2004, in tema di avviamento al lavoro di centralinisti non vedenti in cui sono prestabilite le mansioni, la qualifica e il trattamento economico; Cass. n. 20192 del 2011; Cass. n. 18277/2010)”.

Infatti, osserva la Corte: “lo specifico profilo professionale di operatore socio economico Bs trova, nell’ambito dell’impiego pubblico e in particolare delle unità sanitarie locali, compiuta definizione nella contrattazione collettiva (CCNL Comparto Sanità stipulato del 20.9.2001, allegato 1), dalla quale il datore di lavoro pubblico non può di scostarsi, sicché quelle esigenze di predeterminazione puntuale delle mansioni (erroneamente ritenute ostative alla pronuncia costitutiva dalla Corte territoriale) sono, nel caso in esame, già adeguatamente assicurate dalle regole che necessariamente governano l’instaurazione e la gestione del rapporto”.

Il che, anche sotto l’ulteriore profilo del patto di prova, elemento caratterizzante il rapporto di pubblico impiego, “la cui obbligatorietà nell’impiego pubblico trova affermazione nella disciplina normativa e contrattuale (art. 17 d. P. R. n. 487 /1994, al qua le rimanda l’art. 70 comma 13 d.lgs. n. 165/2001; per il personale non dirigenziale del comparto sanità cfr. per il periodo antecedente alla contrattualizzazione art. 14 del d.P.R. n. 761/1979 e per quello successivo art. 15 del CCNL 1/9/1995”.

Né possono reputarsi ostative, infine, le prescrizioni che emergevano dalla c.t.u. medico-legale disposta in prime cure, relative ad “evitare situazioni di potenziale pericolo” e ad «escludere attività a diretto contatto con gli ammalati, a maggior ragione se non autosufficienti, e l’uso di strumentazione», in quanto prescrizioni da ritenersi “”ragionevoli adattamenti” organizzativi (art. 3 comma 3 bis d.lgs. n. 216/2003) cui la parte datoriale pubblica è tenuta per consentire ai disabili di accedere al lavoro”.

Infatti, “è lo stesso art. 5 della direttiva 2000/78/CE, rubricato “soluzioni ragionevoli per disabili”, che impone, infatti, l’adozione di provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni con crete, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato o eccessivo, con l’ulteriore precisazione tuttavia che la soluzione non può dirsi ex se sproporzionata allorché «l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili»; non si è mancato di precisare, inoltre, che l’adozione di tali misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, anche in quella genetica e, quindi, anche per gli assunti come invalidi ai fini del collocamento obbligatorio (Cass., Sez. L, n. 6497 del 9/03/2021).”; dove “la regola della ragionevolezza funge da criterio guida, in quanto penetra anche i rapporti contrattuali, quale forma di osservanza del “canone di correttezza e buona fede che presidia ogni rapporto obbligatorio ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.” (cfr. Cass. 55.UU. n. 5457 del 2009) e che risulta “immanente all’intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost.” (cfr. Cass. SS.UU. n. 15764 del 2011; v. pure Cass. SS.UU. n. 23726 del 2007; cfr. Cass. SS.UU. n. 18128 del 2005), esplicando “la sua rilevanza nell’ imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra” (Cass. 55. UU. n. 28056 del 2008)”.

Nel cassare, infine, con rinvio viene espresso, in sintesi, il seguente principio di diritto:

«in materia di rapporto di pubblico impiego privatizzato, dove la legge e la contrattazione collettiva predeterminano tutti gli elementi essenziali del contratto, come la qualifica, le mansioni, il trattamento economico e normativo e il periodo di prova, non sono ravvisabili ostacoli alla tutela costitutiva ex art. 63 d.lgs. n. 165/2001 invocata dal lavoratore, iscritto nelle liste di avviamento obbligatorio e risultato idoneo al collocamento, dovendosi solo valutare, con accertamento di fatto riservato al giudice del merito, se siano o meno praticabili “ragionevoli accomodamenti” nel rispetto dei principi stabiliti dalla direttiva 2000/78/CE, per rendere concretamente compatibile l’ambiente lavorativo con le limitazioni funzionali del lavoratore disabile».

Francesco Andretta, avvocato in Napoli.

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 26 febbraio 2024, n. 5048

Scarica il commento in PDF

L'articolo Pubblico impiego privatizzato: il ripristino armonioso dell’ordinamento giuridico violato tra esecuzione in forma specifica e discriminazione per handicap nell’accesso al lavoro sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.