L’immediatezza della contestazione disciplinare: una lettura di sistema
30 Novembre 2024|La breve, ma significativa, pronuncia in analisi (Cass., ordinanza 13 settembre 2024, n. 24609) consente di soffermarci su uno degli imprescindibili connotati della contestazione disciplinare: la tempestività (per il settore pubblico, V. Tenore, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Giuffrè, 2021, spec. 363 ss.; E. Apicella – M. Curcuruto – P. Sordi – V. Tenore, Il pubblico impiego privatizzato nella giurisprudenza, Giuffrè, 2005, spec. 263 ss.; L. Busico, I termini del procedimento disciplinare nel lavoro pubblico contrattualizzato (nota di commento a Cass., sez. lav., sentenza 14 ottobre 2015 n. 20733), in LexItalia.it; per il settore privato, S. Mainardi, Il potere disciplinare del datore di lavoro, UTET, 2012, spec. 262 ss.).
Come noto, la contestazione di addebiti nel procedimento disciplinare rappresenta l’atto con cui si instaura il contraddittorio con l’incolpato (ragion per cui dev’essere connotata da specificità e puntualità); essa tende a conferire certezza e immutabilità al contenuto dell’infrazione e, in ambito di pubblico impiego privatizzato, fissa il dies a quo del termine di centoventi giorni rilevanti ai sensi dell’art. 55-bis, comma 4, D. Lgs. n. 165/2001.
La contestazione dev’essere caratterizzata da prossimità temporale rispetto al fatto munito di potenziale rilievo disciplinare, anche e soprattutto per consentire l’esercizio del diritto di difesa, principio portante del procedimento disciplinare.
Restando a questa rivista, si rinvia, anche per un inquadramento sistematico, a: I. Bresciani, Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla violazione della regola di immediatezza della contestazione d’addebito, Labor, n. 5/2022; L. De Angelis, Ripensando alla immediatezza della contestazione, Labor, n. 4/2018.
V. anche: R. Galardi, Il Giudice può discostarsi dalle regola della immediatezza della contestazione disciplinare?, in www.rivistalabor.it, 23 ottobre 2017; D. Serra, Sul principio di immediatezza della contestazione disciplinare, sempre in www.rivistalabor.it, 4 giugno 2024; G. Aristei, La “relatività” dell’immediatezza della contestazione disciplinare, ivi, 4 dicembre 2023; M. Caro, Le molteplici esigenze sottese al principio di immediatezza dell’esercizio del potere disciplinare, ivi, 29 aprile 2022;
Infatti, merita precisare che, mentre nell’impiego privato vale il principio di immediatezza nella contestazione rispetto alla conoscenza dei fatti, ma quasi mai esso viene concretizzato in espressi termini contrattuali (V. Tenore, Manuale del pubblico impiego contrattualizzato, EPC editore, 2023, 379), nel pubblico impiego è stato formalizzato un termine perentorio di trenta giorni per la contestazione (accorciato a 48 ore nel caso dell’art. 55-quater, comma 3-ter, D. Lgs. n. 165/2001) e un successivo termine, parimenti perentorio, di centoventi giorni per la conclusione del procedimento disciplinare.
Infatti, ai sensi del comma 9-ter dell’art. 55-bis D. Lgs. n. 165/2001, «La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento» (enfasi aggiunta; sulle novità della c.d. riforma Madia, D. Lgs. n. 75/2017, si rinvia a L. Paolucci, Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego aspetti procedimentali alla luce del d.lgs. n. 75 del 2017, LPA, n. 3/2018; V. Tenore, Lo stato dell’arte sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego dopo le più recenti riforme, LDE, n. 4/2021).
Il superamento di tali termini comporta, quale sanzione giuridica, la decadenza dall’esercizio dell’azione disciplinare (Cass., 4 novembre 2020, n. 24605).
Ora, tornando al generale principio di immediatezza della contestazione disciplinare, per esso si intende il principio secondo cui la contestazione del comportamento illecito deve avvenire a distanza di un breve lasso di tempo dalla conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro.
Il decorso di un periodo considerevole rispetto alla commissione del fatto da parte del lavoratore potrebbe, come si è anticipato, vulnerare il diritto di difesa di quest’ultimo o, quantomeno, renderne più difficoltosa la realizzazione.
Il dipendente si troverebbe, infatti, astretto dalla necessità di dover ricostruire la dinamica dei fatti in oggetto e di fornire, eventualmente, una diversa ricostruzione degli stessi affrontando le difficoltà legate alla possibile lontana collocazione temporale degli episodi contestati.
Tanto più la contestazione viene effettuata a ridosso dei fatti, dunque, tanto più efficacemente il dipendente incolpato potrà difendersi in ordine agli stessi (V. Digregorio, Contestazione disciplinare: il principio di tempestività. Il requisito della tempestività della contestazione disciplinare e la sua applicazione pratica in giurisprudenza, in www.altalex.com, 27 gennaio 2021).
Rileva, a tal fine, il momento in cui il datore è venuto a conoscenza dell’illecito comportamento del lavoratore, in quanto solo in quel momento il datore può effettuare le sue valutazioni circa l’apertura di un procedimento disciplinare.
Occorre, poi, debitamente considerare il principio dell’affidamento del lavoratore; il decorso di un periodo di tempo lungo rispetto alla condotta contestata potrebbe legittimamente indurre nel lavoratore la convinzione che la parte datoriale abbia tacitamente deciso di rinunciare all’esercizio del potere disciplinare, sebbene questo dischiuda prospettive teoriche più ampie circa la possibile applicabilità del principio della Verwirkung nel nostro sistema e, in particolare, nel diritto del lavoro. Per alcuni riferimenti, senza pretesa di completezza: S. Patti, Verwirkung, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., XIX, Utet, 1999, 722 ss.; Id., Profili della tolleranza nel diritto privato, Jovene, 1978, 101 ss.; più recentemente, Id., Tempo, prescrizione e Verwirkung, Mucchi, 2020, 54 ss.; F. Ranieri, Rinuncia tacita e Verwirkung, Cedam, 1971, passim; L. Bozzi, La negozialità degli atti di rinuncia, Giuffrè, 2008, 196 ss.; F. Rinaldi, Verwirkung, ritardato esercizio del diritto e giudizio di buona fede, in NGCC, 2005, I, 448 ss.; L. Racheli, Ritardo sleale nell’esercizio del diritto (verwirkung): tra buona fede, abuso del diritto e prescrizione, in GC, 2005, I, 2182 ss.; F. Astone, Ritardo nell’esercizio del credito, Verwirkung e buona fede, in Riv. dir. civ., 2005, II, 603 ss.; C. Bona, Accessione, comunione e Verwirkung, in Foro it., 2018, I, 1214 ss.
Con peculiare riferimento al diritto del lavoro: A. Vallebona, Divieto di venire contra factum proprium, Verwirkung e abuso del diritto: l’azione tardiva contro il licenziamento, in MGL, 2010, 921 ss.; L. Ratti, Profili di rilevanza della verwirkung nel rapporto di lavoro: l’inerzia del lavoratore alla luce dei principi di correttezza e buona fede, in RIDL, 2010, II, 595 ss.).
Secondo la giurisprudenza consolidata (a mero titolo esemplificativo, v. Cass., 15 giugno 2015, n. 12337), la tempestività della contestazione va intesa in modo non di certo immutabile e pietrificato, potendo anche essere compatibile con un intervallo di tempo variabile in relazione alle diverse casistiche e ai diversi connotati del caso concreto.
Si legge, infatti, in giurisprudenza che il requisito della immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare l’iniziativa datoriale (Cass. 21 giugno 2016, n. 12824).
Viene in rilievo, dunque, una clausola elastica, la cui concretizzazione è influenzata da diversi elementi.
In alcuni casi, la complessità della struttura organizzativa dell’impresa e/o l’eventuale difficoltoso accertamento dei fatti oggetto di contestazione potrebbero determinare un ritardo nell’instaurazione del procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro (V. Digregorio, op. cit.).
A dimostrazione della mutevolezza del connotato della tempestività, merita richiamare una recente e significativa indagine avente a oggetto la giurisprudenza sul punto (W. Falco, La contestazione disciplinare tra l’immediatezza e l’immutabilità, 3 gennaio 2020, in www.toffolettodeluca.it):
– è stata ritenuta tempestiva la contestazione disciplinare fatta a distanza di 8 mesi dall’effettiva e compiuta conoscenza dei fatti avvenuta a seguito della notizia dell’indagine penale in concomitanza della quale la società aveva dato inizio a indagini interne molto complesse; si era trattato, infatti, di condotte di difficile accertamento consistite nell’aver agevolato una cliente che usava prestanomi per gestire diversi conti, nell’aver violato le norme antiriciclaggio e nell’aver chiesto sovvenzioni oltre i limiti procedurali (Cass. 9 maggio 2019, n. 12366);
– è stata esclusa la tempestività della contestazione disciplinare fatta a distanza di circa 6 mesi dall’avvenuta conoscenza dei fatti in ordine ai quali il datore abbia fin da subito acquisito congrui e sufficienti elementi a carico del suo dipendente, mentre nell’intervallo di tempo nelle more trascorso non risulti svolta alcuna ulteriore indagine occorrente alla definizione della posizione del lavoratore. Ciò a maggior ragione se si siano verificate delle circostanze idonee a far maturare nel dipendente la ragionevole convinzione che la società abbia soprasseduto all’intento di comminare sanzioni disciplinari, quali l’aver sventato una frode ai danni del datore (Cass. 16 aprile 2019, n. 10565).
Inoltre,
– è stata giudicata tempestiva la contestazione disciplinare avvenuta a distanza di due mesi dalla conoscenza dei fatti consistiti nell’aver il dipendente utilizzato in favore di sé stesso, di sua moglie e di suo fratello le somme derivanti da eccedenze di pagamento da parte di terzi; in tal caso, infatti, i giudici hanno tenuto conto della complessità della struttura organizzativa aziendale, del numero di operazioni irregolari contestate al lavoratore (pari a ventotto) e della verifica ispettiva svolta. In ogni caso il periodo trascorso tra la conoscenza dei fatti e la contestazione scritta non avrebbe potuto ingenerare nel dipendente la convinzione della rinuncia all’esercizio del potere di recesso in quanto gli era stata immediatamente revocata l’abilitazione all’attività di cassa (Cass. 27 novembre 2018, n. 30679);
– non è tardiva la contestazione disciplinare intervenuta a distanza di quattro mesi dalla conclusione dell’attività ispettiva nell’ambito della quale erano emerse le infrazioni contestate, in quanto il giudice di merito ha tenuto ben presente il lasso di tempo trascorso e lo ha contestualizzato in relazione alla complessità degli accertamenti svolti e delle valutazioni consequenziali nell’ambito di un’azienda di grandi dimensioni (Cass. 25 gennaio 2018, n. 19245);
– è tempestiva la contestazione disciplinare intervenuta a distanza di oltre un anno dai fatti addebitati la cui conoscenza da parte del datore era stata resa particolarmente complessa dal numero degli episodi e dalla difficile ricostruzione dei medesimi, consistititi nella sostituzione arbitraria di otto contatori del gas nonché nell’omessa segnalazione di palesi manomissioni e di consumi anomali con presunta frode in danno della società datrice (Cass. 28 marzo 2018, n. 7735).
Rileva, inoltre, un recente caso giurisprudenziale concernente la diversa ipotesi del pubblico impiego privatizzato, in cui un Giudice di merito ha ritenuto, sia pur in sede cautelare, non tardiva la riattivazione del procedimento disciplinare effettuata dall’Ufficio Procedimenti Disciplinari competente a distanza di numerosi anni dalla intervenuta sospensione del procedimento stesso, in ragione della pendenza di un processo penale per lo stesso fatto (art. 55-ter D. Lgs. n. 165/2001).
In tal caso, il principio di tempestività (nella riattivazione del procedimento più che nella contestazione di addebiti, ma – mutatis mutandis – è chiaro che esso valga comunque) appariva comunque rispettato in quanto la cancelleria competente, contravvenendo all’obbligo statuito dall’art. 70 D. Lgs. n. 150/2009, non aveva comunicato all’Ufficio Procedimenti Disciplinari la sentenza che aveva definito la vicenda penale in oggetto.
Ne discende che il dies a quo rilevante per valutare la possibile decadenza dal potere disciplinare doveva coincidere con la data in cui l’Ufficio, proprio motu e pur non essendo a tanto vincolato dalla legge, si era attivato per conoscere l’esito della vicenda penale (Trib. Reggio Calabria, ord. 24 aprile 2024, inedita, a quanto consta). E, nel caso di specie, tra la comunicazione – indotta – della sentenza e la riattivazione del procedimento erano decorsi meno di trenta giorni.
Rimane, comunque, riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano il ritardo (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, n. 30985) e la valutazione compiuta è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.
Tra l’altro, quanto argomentato circa la flessibilità del concetto di immediatezza e tempestività vale anche per il pubblico impiego privatizzato.
Con riguardo alle ipotesi patologiche, l’individuazione della tutela prevista dall’ordinamento per il licenziamento disciplinare illegittimo per tardività della contestazione degli addebiti viene individuata come segue: nelle imprese con più di 15 dipendenti, e per un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 (dunque, con applicazione dell’art. 18 L. 300/1970, come modificato dalla L. 92/2012), si applica la tutela indennitaria “forte” prevista dall’art. 18, comma 5, St. lav., secondo il quale «il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi… della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto».
In tal senso, infatti, milita il principio di diritto statuito dalla richiamata Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, n. 30985: «la dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso, ricadente ratione temporis nella disciplina dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, così come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della legge n. 92 del 28.6.2012, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso art. 18 della legge n. 300/1970».
Inquadrando il tema in ottica ampia e sistematica, anche in base alle norme civilistiche che regolano i contratti, lo scioglimento del vincolo contrattuale non può giustificarsi se non per una causa riconosciuta dall’ordinamento come meritevole di tutela (art. 1455 c.c.).
«La contestazione disciplinare tardiva dimostra, viceversa, l’irrilevanza della condotta del lavoratore ai fini della prosecuzione del rapporto di lavoro, e tale valutazione di irrilevanza proviene dallo stesso datore di lavoro che, pur essendo venuto a conoscenza del fatto commesso dal suo dipendente, sceglie di non chiedergli giustificazioni e manifesta la volontà di proseguire il rapporto di lavoro, semplicemente tacendo» (F. Grillo Pasquarelli – V. Ricchezza, L’esaurimento del potere disciplinare: tempestività e bis in idem, in LDE, n. 2/2023).
Venendo al caso di specie, in cui la contestazione era stata notificata il 19 febbraio a fronte di comportamento tenuto il 9 dicembre 2018, la Cassazione rileva, preliminarmente, che il criterio di immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, che è tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale.
Tuttavia, continua la sentenza, questo non significa che il datore di lavoro possa procrastinare la contestazione al fine di rendere più difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, una tale condotta risulta essere lesiva dei principi di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro.
La Suprema Corte, pertanto, conferma i principi già noti in materia.
Antonino Ripepi, procuratore dello Stato in Reggio Calabria
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