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La Suprema Corte conferma l’«efficacia determinativa esclusiva» dell’intento ritorsivo datoriale a tutela del lavoratore licenziato per motivo illecito

8 Aprile 2024|

La pronuncia in commento (Cass., ordinanza, 19 dicembre 2023, n. 35480) affronta il controverso istituto del licenziamento per ritorsione o rappresaglia del lavoratore riconducibile nell’alveo del licenziamento nullo per «motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile» (v., tra le tanteCass., 3 agosto 2023, n. 23702, in Labor6 Febbraio 2024 con nota di  AIELLO, Licenziamento ritorsivo: ampia tutela del lavoratore tra nullità del licenziamento e reintegra nel posto di lavoro; Trib. Treviso, 15 marzo 2023, ivi, 20 agosto 2023 con nota di BAVASSO, Licenziamento ritorsivo e discriminatorio e Trib. Trento, 7 febbraio 2023, n. 20, sempre in Labor, 23 Marzo 2023 con nota di POSO, In fatto e in diritto. Tutto quello che c’è da sapere sul licenziamento (ingiustificato e) ritorsivo, in una sentenza-trattato, con dovizia (anche troppa) di particolari e citazioni, del Tribunale di Trento).

Nel caso di specie, la Corte distrettuale, riformando la sentenza di primo grado, ha dichiarato nullo, in assenza di un giustificato motivo oggettivo, il licenziamento intimato a tre dirigenti (anche soci di minoranza) di una società, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte accerta l’insussistente motivo di recesso, riconducibile ad un’apparente esigenza di riorganizzazione aziendale mai attuata, e configura «l’ineffettività della scelta organizzativa» come motivo illecito determinante desumibile da una molteplicità di elementi indiziari, fra loro gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.).

Ricorre in Cassazione la società datrice deducendo la violazione di svariate norme legislative e contrattuali (art. 41Cost., art. 30 l. 183/2010, artt. 22 e 23 c.c.n.l. Dirigenti Industria, art. 1345 c.c., art. 18 l. 300/1970, e art. 2697 c.c.).

In particolare, censura il sindacato giurisdizionale della Corte distrettuale sulla necessità e opportunità della riorganizzazione aziendale, di esclusiva pertinenza datoriale, nonché la dichiarata nullità dei recessi intimati. In questo ultimo caso, la Corte presuppone la sussistenza di un presunto intento ritorsivo non unico, esclusivo e determinante. Infine, censura, altresì, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, quale l’avvenuta realizzazione della riorganizzazione aziendale e la qualifica di consulente rivestita, in precedenza, dall’Amministratore Unico, autore dei licenziamenti in esame.

In linea con consolidati orientamenti di legittimità la Suprema Corte dichiara inammissibili le censure sollevate così argomentando.

In primo luogo, l’accoglimento della domanda di accertamento della nullità del licenziamento per motivo illecito presuppone che «l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019). In tal caso non è necessario «un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento» (Cass. n. 6838 del 2023, Cass. n. 5555 del 2011).

Ai fini dell’accertamento de quo rileva l’eventuale assenza della giusta causa o giustificato motivo.  Orbene, l’accertata presenza di ragioni inerenti all’attività produttiva e organizzativa, l’efficienza gestionale o l’incremento della redditività «tali da determinare causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che richiede la soppressione di un’individuata posizione lavorativa» configura un licenziamento legittimo. Al contrario, l’inesistenza di tali ragioni organizzative o produttive configura un «licenziamento ingiustificato per la mancanza di veridicità o per la pretestuosità della causale addotta» (Cass. n. 752/2023; Cass. n. 3819/2020; Cass. n.15400/2020).

La Corte distrettuale, nel caso in esame, quando considera l’efficienza del modello gestionale precedente o l’assenza di criticità gestionali non effettua una «inammissibile» valutazione di convenienza della scelta riorganizzativa datoriale ma valuta tali elementi indiziari in concorso con gli altri per fondare la presunta natura ritorsiva determinante dei licenziamenti.

Le censurate valutazioni della Corte distrettuale non solo non ledono né l’art. 41 Cost. né l’ art. 30 della l. 183/2010 bensì, hanno il merito di supportare il ragionamento presuntivo sulla mancanza di effettività del progetto riorganizzativo aziendale rivelando la pretestuosità del fondamento giustificativo del recesso.

L’accertamento negativo della riorganizzazione aziendale impedisce quindi che possa rilevare come «fatto» acquisito al giudizio, ugualmente, in termini di idoneità, non rileva la pregressa attività di consulente prestata dall’ Amministratore unico, per sostenere una conoscenza della società tale da consentire di realizzare in tempi brevissimi un progetto riorganizzativo.

Ciò che rileva sono i molteplici indizi sui quali si fonda l’accertamento di fatto dell’insussistenza del progetto riorganizzativo e della esistenza, viceversa, di un motivo illecito unico e determinante. Tra tutti «il gravissimo conflitto societario tra i dirigenti licenziati e i soci di maggioranza, il dichiarato risentimento di quest’ultimi verso soci di minoranza» nonché la tempistica dei licenziamenti a pochi giorni dalla nomina dell’Amministratore unico contrastata dai soci di minoranza o la solidità del modello organizzativo a struttura familiare dell’impresa. Tutti elementi gravi, precisi e concordanti che configurano «indizi idonei a far presumere il motivo ritorsivo del licenziamento ben mascherato da un apparente motivo riorganizzativo». Così accade nel caso di specie, in cui il giudice di merito valorizza gli elementi acquisiti al giudizio in una valutazione unitaria e globale tale da raggiungere, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. 21715 del 2018; Cass. n. 3819 del 2020; Cass., n. 23583 del 2019).

Dal punto di vista probatorio, l’onere della prova è equamente distribuito tra il lavoratore tenuto a dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 27325 del 2017; Cass. n. 26035 del 2018), anche mediante presunzioni (art. 2697 c.c.), e il datore di lavoro tenuto a provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso.

In conclusione, la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ribadisce la rilevanza del ragionamento presuntivo a supporto delle inferenze formulate per accertare l’assenza di un effettivo progetto riorganizzativo e l’esistenza del motivo ritorsivo determinate al fine di garantire al lavoratore la tutela più adeguata.

In ragione della tutela fruibile rileva l’esatto inquadramento del licenziamento che solo in assenza di causali poste a fondamento e in presenza di un motivo illecito determinante garantisce al lavoratore la massima forma di tutela prevista dall’art. 18 Stat. Lav. (Cass., 25 gennaio 2021, n. 1514; Cass., 4 aprile 2019, n. 9468) altrimenti carenti tali elementi al lavoratore spetta la tutela reintegratoria /risarcitoria contemplata per il licenziamento illegittimo.

Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare, sede di Catanzaro

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 19 dicembre 2023, n. 35480

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