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Il TAR Lazio e la Corte di cassazione delimitano il perimetro applicativo della normativa in materia di whistleblowing: sì alla tutela, ma senza rinunciare alla proporzionalità

16 Luglio 2024|

Il whistleblowing è un istituto che interessa molteplici discipline, tra le quali il diritto, l’economia, la scienza politica, la filosofia morale e la politica. Da tale vocazione poliedrica deriva l’indiscusso interesse che la dottrina e la giurisprudenza hanno riservato, in tempi recenti, a tale tematica (per quanto concerne il quadro sovranazionale, v. N. Parisi, La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, in Lavoro Diritti Europa, n. 2/2020; per l’ordinamento nazionale, G. Damiri, Il sistema di protezione del whistleblower nel panorama normativo italiano, in Ratio iuris; a livello monografico, v. l’ampia disamina di E. Busuito (a cura di), La nuova disciplina del whistleblowing, Wolters Kluwer, 2023; per gli aggiornamenti relativi al d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24, v. D. Tambasco, La nuova disciplina del whistleblowing dopo il D.lgs. n. 24/2023, Giuffré, 2023).

Nel caso di specie, il TAR Lazio, Sez. III-ter, nella sentenza  12 marzo 2024, n. 4967, qui commentata, si è occupato della legittimità dei provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, prima, e successiva destituzione, poi, adottati dalla parte resistente nei confronti del ricorrente, il quale assumeva che tali atti rappresentassero gli ultimi di una lunga e pervicace serie di misure pregiudizievoli intraprese in suo danno dall’Amministrazione in un’ottica ritorsiva, per aver questi contrastato e poi contestato, internamente ed esternamente, le decisioni di parte resistente in merito alla c.d. truffa dei diamanti da investimento, invocando in proprio favore le tutele previste per il whistleblower.

Occorre focalizzare l’attenzione sul motivo di ricorso con cui il ricorrente invoca le tutele previste dalla normativa sul whistleblowing, con particolare riguardo alla scriminante relativa alla divulgazione pubblica di documenti coperti da segreto.

Secondo la prospettazione di parte, infatti, la diffusione di materiale riservato si sarebbe resa necessaria dopo i tentativi di denuncia esperiti per altra via, al fine di rendere di pubblico dominio le condotte illecite omissive di alcuni esponenti di parte resistente nella gestione della vicenda diamanti.

Orbene, il TAR Lazio muove dal richiamo di quel consistente indirizzo giurisprudenziale per il quale, in base all’art. 54-bis d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, disposizione oggi abrogata ma ratione temporis vigente (su cui v. M. Asaro, Dipendenti pubblici: i limiti della tutela del whistleblower, in Labor, www.rivistalabor.it, 25 febbraio 2023), non possono escludersi automaticamente dalle tutele avverso gli atti ritorsivi quelle segnalazioni che – pur rivestendo una forma impropria (ad esempio, la forma di una diffida) – siano volte a sottoporre agli organi di controllo (interni, RPCT, e esterni, autorità giudiziaria e ANAC) condotte che integrano contemporaneamente una violazione dei diritti del lavoratore e al contempo fatti illeciti (e per ciò stesso lesive degli interessi pubblici). La norma, infatti, può trovare applicazione anche quando l’interesse all’integrità dell’Amministrazione coincida o si accompagni con l’interesse privato del segnalante, che non può, quindi, da solo (c.d. egoistic blower) giustificare la tutela in questione (TAR Lazio, Sez. I-quater, 19 aprile 2023, n. 6775).

Sul punto, in chiave teorica, mediante argomentazioni che appaiono recepite da tale incisivo indirizzo pretorio, la condotta del whistleblower è stata esaminata alla luce del paradigma dell’analisi costi/benefici (sia consentito il richiamo a G. Grasso – A. Ripepi, Il whistleblowing: un istituto in evoluzione nel disegno (dai tratti incerti) del legislatore, in Giurisprudenza penale web, 7-8/2023, p. 3).

A prescindere da qualsiasi coazione giuridica, infatti, il segnalatore potrebbe essere mosso dall’intento di perseguire l’interesse generale così come da pulsioni egoistiche, che non possono essere escluse a priori; tuttavia, nell’ambito del proprio calcolo di convenienza economica, il whistleblower dovrà anche considerare i fattori avversi (tra i quali il “timore di ritorsioni”, come recita il considerando n. 1 della Direttiva UE 2019/1937; la “scarsa fiducia nell’efficacia della segnalazione”, menzionata dal considerando n. 63; il timore di danneggiare i colleghi; per una più ampia disamina della citata Direttiva, v. C. Scalerandi, Whistleblowing: facciamo il punto. Le novità della Cassazione e la direttiva europea, in Labor, www.rivistalabor.it, 17 maggio 2023).

Anche per questa ragione, si è discusso lungamente circa l’opportunità di prevedere gratificazioni, economiche e no, che possano incentivare il segnalatore.

Alcuni Stati lo hanno recisamente negato, in quanto i rispettivi ordinamenti costituzionali pongono a carico dello stesso un “dovere civico” che non può essere strumentalizzato in base a logiche economicistiche; altri, come nel caso degli Stati Uniti, lo ammettono, riconoscendo che il movente egoistico, consistente nella volontà di conseguire un premio, in denaro o altro, spesso ha una funzione determinante.

Infine, sussiste una terza via mediana, che consiste nell’introduzione di riconoscimenti solo morali, quali i certificati di merito (si veda il caso di Israele, citato da S. Zorzetto, Costi e benefici del whistleblowing: questioni di policy e premiali, in A. Della Bella – S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, p. 477).

In definitiva, ai fini dell’applicabilità del regime di tutela avverso gli atti ritorsivi previsto dalla normativa in materia di whistleblowing, non è necessario che i motivi dell’agire del segnalante siano disinteressati, ma è ben possibile che le segnalazioni di illeciti siano connesse a rivendicazioni personali del lavoratore, purché non mosse nel suo esclusivo interesse, come oggi richiede anche il d.lgs. n. 24/2023.

D’altronde, resta discusso in dottrina se il segnalatore di illeciti possa o debba identificarsi con una figura “eroica”, nel senso della pretermissione del proprio egoistico interesse a vantaggio di quello generale, anche a costo di subire ripercussioni negative.

Sul punto, mentre alcuni studiosi discutono di “piccolo samaritanesimo”, in quanto il whistleblower fa esattamente quello che la morale gli richiede, senza cercare di fare di più (M. Davis, Some Paradoxes of Whistle-Blowing, in Ethical Treatment of Employees, vol. 15, n. 1, p. 149), la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo afferma che il motivo dietro le azioni dell’impiegato segnalatore è un altro fattore determinante per decidere se una particolare rilevazione debba essere protetta o no.

Per esempio, una rivelazione motivata da una lagnanza personale o un antagonismo personale o l’aspettativa di un vantaggio, incluso un guadagno pecuniario, non giustificherebbe un livello particolarmente forte di protezione (Corte EDU, sentenza 12 febbraio 2008, ric. n. 14277/04, Guja c. Moldavia).

Nella medesima ottica, la giurisprudenza nazionale evidenzia anche che «la segnalazione può essere avanzata con ogni mezzo (ovvero anche in maniera non riservata), purché le modalità trasmissione e diffusione della segnalazione siano rispettose dei principi di proporzionalità (in relazione alla gravità dell’illecito segnalato e alla consistenza degli elementi posti a sostegno della segnalazione) e di adeguatezza (in relazione alla finalità di garantire una tutela effettiva degli interessi pubblici che vengono in rilievo nella specifica vicenda)» (cfr. TAR Lazio, Sez. I-quater, 7 gennaio 2023, n. 235).

Dunque, si può anche travalicare rispetto agli ordinari strumenti di segnalazione, purché nel rispetto del principio di proporzionalità, valutato in base all’interesse pubblico e alle esigenze che spingono il segnalatore civico ad agire.

Pertanto, i canali di segnalazione istituiti dagli enti, pubblici e privati, hanno un’importanza fondamentale, ma non hanno carattere di esclusività.

In dottrina, infatti, si è rimarcata la necessità di accurata predisposizione dei Whistleblowing schemes all’interno dei modelli organizzativi, cioè di procedure operative interne inerenti ai flussi informativi della segnalazione, che deve avere l’obiettivo precipuo di proteggere il segnalante in buona fede e la sua riservatezza, nonché di reagire efficacemente nei confronti di chi viola tali misure e dell’autore di segnalazioni infondate che, al contrario, sia in mala fede.

Si tratta, infatti, di elementi integrativi dell’organizzazione dell’ente che servono a dimostrare il buon funzionamento dei meccanismi di interazione interna volti a prevenire la commissione di reati, una volta conosciuti i segnali di rischio, ovvero finalizzati ad attivare prontamente gli strumenti di reazione contemplati dall’ente (G. Grasso – A. Ripepi, op. cit., pp. 7-8).

Tuttavia, come segnalato, laddove vengano in rilievo interessi pubblici, la giurisprudenza ammette anche mezzi “atipici” di segnalazione.

Ebbene, applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, il TAR Lazio ritiene che le tutele previste dall’art. 54-bis cit. non possano trovare applicazione nel caso in esame, in quanto l’intervista rilasciata dal ricorrente a una nota trasmissione televisiva rappresenta piuttosto una segnalazione di notizie coperte da segreto con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito e al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine.

Infatti, la divulgazione pubblica, come quella avvenuta nella specie, deve rappresentare l’extrema ratio, possibile solo una volta esperiti infruttuosamente gli strumenti previsti per la segnalazione tipica: anche ammettendo che le segnalazioni di ottobre e novembre 2019 avessero i requisiti per una segnalazione whistleblowing, la segnalazione esterna ad ANAC è stata fatta dall’interessato solo ad agosto 2022, ben oltre l’intervista andata in onda a dicembre 2021 o gli stessi contatti con i giornalisti che il ricorrente ha riconosciuto di avere già a novembre 2019.

Non ravvisandosi, quindi, motivi che avrebbero potuto giustificare la decisione di procedere ad una segnalazione atipica pubblica, deve ritenersi che l’iniziativa del ricorrente, anche laddove mossa dall’intenzione di perseguire l’integrità dell’operato dell’amministrazione, sia stata del tutto sproporzionata e inadeguata rispetto alle finalità perseguite dalla normativa in materia di whistleblowing, le cui tutele, pertanto, non sono applicabili al caso di specie.

Cadenze argomentative del tutto simili valgono per l’ordinanza della Corte di cassazione, 5 aprile 2024, n. 9138 (anche questa oggetto del nostro commento) in cui il lavoratore aveva rivelato a un giornalista di una nota testata giornalistica i contenuti di una denuncia effettuata dal lavoratore medesimo all’ANAC in qualità di whistleblower, divulgandoli con modalità eccedenti rispetto alle finalità della l. n. 179/2017.

La Suprema Corte, nel caso in esame, ha ritenuto la comunicazione a organi di stampa della denuncia all’ANAC (ossia di notizie e documenti comunicati all’organo deputato a riceverli, oggetto di segreto aziendale, professionale o d’ufficio) era avvenuta con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito, proprio per la rivelazione al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine, ciò che ha determinato il rigetto del ricorso.

Pertanto, il ricorrente non poteva vantare alcun diritto alla tutela, in quanto, alla radice, non era gravato da un dovere di comunicazione dell’illecito attraverso modalità sproporzionate ed eccedenti.

Infatti, in un’ottica di teoria generale, occorre indagare se il segnalante sia gravato da un dovere/obbligo giuridico di segnalazione o se venga in rilievo una facoltà o un dovere civico, auspicabile ma non sanzionabile in caso di inerzia, per poi rapportare le conclusioni raggiunte alla strumentazione utilizzata per la segnalazione.

In alcune ipotesi, la legge provvede espressamente. La segnalazione è obbligatoria in capo ai dipendenti pubblici in caso di commissione di illeciti (art. 2, c. 1, lett. a) del d.lgs. 10 marzo 2023 n. 24; artt. 8 e 13, c. 8, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, il primo riferito ai dipendenti in generale, il secondo ai dirigenti in particolare).

In questo novero, oltre ai fatti contrassegnati da rilievo penale, amministrativo, civile, disciplinare e contabile, si possono includere anche condotte rientranti nell’ampio concetto di maladministration precedentemente richiamato, sia alla luce dell’interpretazione sistematica imposta dal nuovo concetto di corruzione amministrativa, sia della formulazione ampia della Direttiva UE 2019/1937, il cui considerando 1 richiama “minacce o pregiudizi al pubblico interesse” e, dunque, non solo gli “illeciti” in senso stretto.

Nel settore privato, invece, un vero e proprio dovere giuridico di segnalazione si configura solo in caso di posizioni di garanzia a fronte della commissione di reati (come imposto dall’art. 40 cpv. c.p.) e, nel caso, in cui sia integrata una fattispecie di responsabilità amministrativa da reato dell’ente, laddove l’obbligo di segnalazione sia prescritto dal modello di organizzazione e gestione di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001.

Più in generale, il whistleblowing in ambito privato può essere imposto dall’adempimento del contratto di lavoro, segnatamente dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., già richiamato in sede di esame delle teorie etiche sulla materia. Infatti, lungi dal ritenere il segnalatore alla stregua di un “traditore”, appare ragionevole ritenere che, nell’ipotesi di commissione di illeciti o irregolarità in ambito aziendale, il dipendente sia tenuto alla comunicazione degli stessi nell’interesse dell’organizzazione, laddove la stessa possa trarne pregiudizio (A. Boscati, Il whistleblowing tra diritto di critica e obbligo di fedeltà del lavoratore, in A. Della Bella – S. Zorzetto (a cura di), Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità cit., p. 363).

Nei diversi casi in cui, invece, sia la stessa segnalazione a rappresentare una violazione dell’obbligo di fedeltà, l’apparente antinomia può essere superata alla luce del diritto di critica, riconducibile all’art. 21 Cost., purché siano riscontrabili i presupposti della verità oggettiva dei fatti e della continenza sostanziale e formale, «intendendo per continenza sostanziale la corrispondenza dei fatti alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva e per continenza formale la misura nell’esposizione dei fatti, in modo da non recare danno al decoro dell’impresa o dell’ente» (P. Salazar, La segnalazione di illeciti integra comportamento sanzionabile? Commento a Cassazione Civile, Sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752, in LG, 2017, 6, p. 584).

Il legame con il diritto di critica appare rafforzato dal nuovo art. 15 d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24, che accorda protezione al whistleblower il quale si sia reso autore di “divulgazioni pubbliche” alle condizioni previste dalla disposizione (assenza di riscontri da parte degli organi preposti; rischio di ritorsione; urgenza di intervento causata da pericolo per il pubblico interesse; G. Grasso – A. Ripepi, op. cit., p. 4).

Peraltro, proprio la fattispecie dell’obbligo di fedeltà consente di constatare come venga in rilievo una situazione giuridica “ancipite”, integrante contestualmente un obbligo e l’espressione di un diritto fondamentale (M. Frediani, La delazione protetta quale diritto-dovere alla segnalazione d’allarme, in LG, 2018, 3, p. 221).

Il whistleblowing, infatti, può atteggiarsi, in prospettiva più ampia, sia alla stregua di strumento di governance, consentendo di rafforzare l’accountability verso i governati, sia quale diritto della persona, secondo approccio human rights oriented (ben espresso da N. Parisi: «In questa prospettiva – non tanto, dunque, perché leva per far emergere illegalità o irregolarità – chi segnala dev’essere protetto: perché esercita un diritto, non perché usa di una facoltà», La funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo, in Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità, cit., p. 17).

Anche l’ANAC, nell’ambito delle linee guida in tema di whistleblowing, sembra condividere tale approccio, evidenziando che la nuova disciplina di cui al d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24, garantisce «la manifestazione della libertà di espressione e di informazione, che comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media», senza tralasciare l’indubbia valenza anticorruttiva e di governance dell’istituto (Linee guida in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali – procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne, disponibile in www.anticorruzione.it).

Nello stesso senso depone la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo: si pensi al caso Voskuil v. The Netherlands (22 novembre 2007), in cui si legge che la tutela predisposta per il segnalante risponde all’esigenza di tutelare il diritto del cittadino di ricevere informazioni su metodi impropri nell’esercizio del pubblico potere.

Inoltre, fuori dai casi prima menzionati, e cioè nelle organizzazioni private, laddove non sussistano posizioni di garanzia e non venga in rilievo un illecito rilevante ai fini della responsabilità amministrativa da reato dell’ente, sembrano delinearsi spazi per una posizione di dovere civico o facoltà (G. Passaniti, Il “non voto” dei friulani all’estero: l’annosa questione del Voto come “dovere civico” all’esame della Corte costituzionale, in www.forumcostituzionale.it).

È quanto ha evidenziato la dottrina: «il lavoratore non assumerebbe la veste di whistleblower qualora denunciasse un fatto che seppur corrispondente ad un illecito da parte del datore di lavoro non sia assimilabile a un illecito rilevante» ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 (M. Vitaletti, Il lavoratore “segnalante” nell’impresa privata. Il perimetro della tutela del “whistleblower”, in DRI, 2019, 2, p. 500).

Si rammenta, inoltre e come già accennato, la necessità che il mezzo utilizzato sia congruo e rispondente al principio di proporzionalità.

Orbene, elle fattispecie concrete scrutinate dal TAR Lazio e dalla Corte di cassazione, non veniva sicuramente in rilievo un diritto o una facoltà in capo al segnalante.

In entrambe le vicende, che sono state commentate unitariamente in quanto espressive di una medesima impostazione di fondo, i segnalanti avevano, infatti, “soffiato nel fischietto” in modo eccessivo e sproporzionato rispetto al fine, non potendo, dunque, pretendere l’applicazione delle tutele previste dalla normativa di settore per i segnalatori civici.

Antonino Ripepi, procuratore dello Stato in Reggio Calabria

Visualizza i documenti: Tar Lazio, sez. IIIª ter, 12 marzo 2024, n. 4967; Cass., ordinanza 5 aprile 2024, n. 9138

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