Aggiornamenti, Diritto del lavoro ed emergenza pandemica
Sulla prima e sulla seconda fase dell’obbligo vaccinale Covid per gli operatori sanitari
Con sentenza n. 15697 del 5 giugno 204 e con sentenza n. 12211 del 6 maggio 2024, che qui entrambe si segnalano, sono stati affermati, da parte della Cassazione-Sezione Lavoro, identici principi, in materia di sospensione del lavoratore per il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, durante l’emergenza sanitaria di rilevanza internazionale data dalla diffusione dell’epidemia da SARS-Cov 2.
In particolare, la Cassazione ha statuito che l’art. 4 del d.l.1.4. 2021 n. 44, conv. con mod. in legge n. 76 del 2021, nel testo originario, imponendo l’obbligo vaccinale agli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43/2006 che svolgessero la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali ha consentito la sospensione di essi dal lavoro, senza obbligo di retribuzione, in caso di rifiuto del vaccino, subordinatamente alla dimostrazione, di cui è onerato il datore di lavoro, dell’impossibilità di utilizzazione in mansioni non implicanti contatti interpersonali e rischio di diffusione del contagio.
Con la conseguenza che al dipendente sospeso dal servizio in assenza delle condizioni richieste dalla legge vigente ratione temporis spetta il risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perse, ma tale diritto viene meno, a partire dal 15.12.2021 e per quanto riguarda le retribuzioni successive, ove risulti che il lavoratore non si sia sottoposto a vaccinazione e ciò in conseguenza della sopravvenuta diversa formulazione del medesimo art. 4, con eliminazione dell’obbligo di repêchage originariamente previsto e dell’applicazione del nuovo art. 4-ter, co.2, 3 , 5 e 6, in esito alle modifiche apportate dal d.l. n. 172 del 2001, conv. con mod. in legge n.3 del 2022.
La Cassazione, nell’esaminare la normativa emergenziale, evidenzia che nell’iniziale formulazione la norma, oltre a stabilire una rigida scansione di adempimenti a carico degli ordini professionali, delle regioni e province autonome, nonché delle aziende sanitarie locali, prevedeva che l’accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale di mancato adempimento dell’obbligo vaccinale ”determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov 2”: la scelta inizialmente operata è stata ripensata dal legislatore che, a seguito dell’aggravarsi della situazione sanitaria, ha con il d.l. 26.11.2021 n. 172, convertito dalla legge 21.1.2022 n.3, modificato il testo dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, prevedendo come doverosa la vaccinazione e l’assoggettamento a sanzioni i datori di lavoro, privi di qualsiasi discrezionalità, in caso di omissione degli adempimenti necessari al fine di assicurare il rispetto dell’obbligo vaccinale (si veda POSO, Dei vaccini e delle “pene” per gli operatori sanitari. Prime osservazioni sul D.L. 1 aprile 2021, n. 44 (G.U. n. 79 del 1 aprile 2021), in Labor, www.rivistalabor.it, 10.04.2021).
Aggiungeva che il datore di lavoro, ricevuta comunicazione dell’accertamento, era tenuto ad adibire il lavoratore ove possibile, a mansioni, anche inferiori, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque non implicavano rischi di diffusione del contagio; la disposizione prevedeva, infine, in caso di impossibilità di una diversa utilizzazione del prestatore, la sospensione dal servizio, accompagnata dalla privazione della retribuzione e di ogni altro emolumento, efficace sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021
Nelle pronunce in questione, la Cassazione ci ricorda che la Corte Costituzionale, con sentenza 9 febbraio 2023, n. 15, ha sottolineato che con la modifica introdotto dal d.l. n. 172/2021 il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro uno sforzo di cooperazione volto all’utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni ed ha ritenuto non irragionevole detta scelta, in considerazione delle finalità di tutela della salute del lavoratore stesso, degli altri lavoratori e dei terzi, portatori di interessi costituzionali prevalenti sull’interesse del dipendente, la cui tutela, nella situazione di emergenza venutasi a delineare, si intendeva perseguire.
Sempre la Corte Costituzionale, con la stessa sentenza, ha evidenziato che, una volta venuto meno, in relazione alle categorie sottoposte all’obbligo vaccinale, il dovere datoriale di repêchage, il rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore non vaccinato non integra mora credendi, perché fondato sulla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa e ciò giustifica anche la sospensione dell’obbligo retributivo e la mancata previsione dell’assegno alimentare perché, se il riconoscimento di quest’ultimo ”si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all’obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile”.
Per la Cassazione la legittimità delle sospensioni dal servizio e dalla retribuzione attuate dal datore di lavoro in conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, da parte del lavoratore, durante l’epidemia da SARS-Cov 2, deve essere verificata sulla base della disciplina vigente ratione temporis e, pertanto, nella prima fase, che va dall’entrata in vigore del d.l. n. 44/2021 (1 aprile 2021) sino all’entrata in vigore del d.l. n.172/2021(26 novembre 2021), il datore di lavoro aveva un obbligo di repêchage generalizzato, mentre nella seconda fase, iniziata con il d.l. 172/2021, la sospensione doveva essere disposta, in caso di rifiuto della vaccinazione e senza alcuna discrezionalità da parte del datore di lavoro (cfr. Cass., S.U., 5 aprile 2023, n. 9403), per tutti gli appartenenti alle categorie indicate nell’art. 4, comma 1, in ragione della sola qualifica posseduta ed a prescindere da qualunque valutazione sulle mansioni espletate e fatti salvo soltanto gli esentati per ragioni di salute di cui al comma 2.
L’estensione della platea dei soggetti tenuti all’obbligo della vaccinazione ha, dunque, comportato che gli operatori sanitari che, nella prima fase, erano esentati in ragione dell’attività in concreto svolta o potevano fare affidamento sull’obbligo di repêchage imposto al datore di lavoro, nella seconda fase, persistendo il rifiuto, sono diventati, per espressa volontà del legislatore, inidonei allo svolgimento dell’attività lavorativa – il tutto sempre fatta eccezione per gli esentati per ragioni di salute, sempre soggetti incondizionatamente all’obbligo di repêchage – con le conseguenze quanto alla necessità della sospensione ed alla sanzionabilità della condotta tenuta in violazione del divieto posto dalla normativa sopravvenuta.
Il dipendente, precisa la Cassazione, che, in ipotesi illegittimamente sospeso nella vigenza del testo originario del d.l. n. 44 del 2021 senza verifica di una sua diversa collocazione lavorativa, risultasse ancora non vaccinato pur dopo il sopravvenire del regime di cui al d.l. n. 172, non ha più diritto alle retribuzioni per il periodo successivo al mutamento normativo.
Fino al 14.12.2021, viene evidenziato dalla Cassazione, chi non rientrava tra le categorie esentate dalla vaccinazione, poteva rifiutare il vaccino ed il rapporto di lavoro proseguiva, seppure in regime di sospensione ma con obbligo retributivo, a meno che il datore di lavoro avesse dimostrato di non poter trovare una diversa collocazione non a rischio, nel quale caso le retribuzioni non erano dovute; dal 15.12.2021, invece, il rifiuto del vaccino diventa causa tout court di inadempimento per tali lavoratori, senza ulteriori mediazioni attraverso il repêchage e, con ciò il rifiuto datoriale di ricevere la prestazione, da quel momento non può più essere considerato illegittimo.
Occorre rimarcare che, durante l’emergenza sanitaria in questione, molto si è discusso fra i giuristi del lavoro sulla necessità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale anticovid-19.
Vincenzo Antonio Poso(si veda Dibattito istantaneo su vaccini anti–covid e rapporto di lavoro: l’opinione di Vincenzo Antonio Poso in Labor, www.rivistalabor.it,25.01.2021) ha sottolineato che il vaccino anti Covid-19 avrebbe dovuto essere imposto obbligatoriamente, con le sole eccezioni che ne giustifichino l’esenzione per motivi di salute, e che nessun obbligo poteva essere imposto senza l’intervento del legislatore, come pure qualcuno aveva ritenuto possibile richiamando le norme fondamentali sulla sicurezza del lavoro, prima fra tutte l’art. 2078 c.c. e del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, nel perimetro degli obblighi non solo del datore di lavoro(art.18), ma anche dei lavoratori; peraltro, secondo Poso, l’intervento del legislatore , necessitato anche dalla previsione costituzionale dell’art.32, , c.2, Cost, avrebbe portato nell’alveo nazionale una scelta che, anche su questo specifico punto, non può essere di rango regionale.
Vincenzo Ferrante (si veda Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro: l’opinione di Vincenzo Ferrante in Labor, www.rivistalabor.it, 22.01.2021) ha evidenziato che, per rispettare il dettato dell’art. 2087 c.c., il datore non poteva ammettere sul luogo di lavoro soggetti che, rispetto al tipo di attività esercitata, potevano costituire fonte di pericolo per gli altri lavoratori, sia che questa minaccia derivasse dalla loro capacità attuale di farsi vettori di contagio, sia che si trattasse di una condotta, conseguente a sventatezza o incuria, di particolare e rilevante gravità. Ovviamente la stessa regola doveva applicarsi, quando il danno rischiava di prodursi nei confronti dei soggetti che usufruivano del servizio che costituiva oggetto della prestazione.
Anche per un inquadramento generale del problema, merita qui richiamare le opinioni di Fabrizio Amendola, Raffaele De Luca Tamajo e Vincenzo Antonio Poso, nell’intervista di Marcello Basilico, Per operatori sanitari e socioassistenziali è il momento dell’obbligo vaccinale?, in Giustizia Insieme, www.giustiziainsieme.it, 30.03.2021.
Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Visualizza i documenti: Cass., 6 maggio 2024, n. 12211; Cass., 5 giugno 2024, n. 15697
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