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By Rivista Labor – Pacini Giuridica · 18 April 2024

Aggiornamenti, Contratto di lavoro

Sul diritto soggettivo del dirigente sanitario in regime di esclusività allo svolgimento di libere prestazioni intramurarie

Premessa

Con il Servizio Sanitario Nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale e con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso.

L’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale (art. 4, comma 7, L. 30/12/1991, n. 412): le modalità di esercizio previste sono in regime c.d. di intra-moenia o di extra-moenia.

Nel primo caso il medico svolge l’attività libero-professionale all’interno dell’ente di appartenenza oppure in strutture da questo indicate; per la gestione ed organizzazione di tali spazi l’ente riceve una parte dei compensi dell’attività. Nel secondo caso l’attività viene svolta in spazi scelti dal dirigente, nel rispetto dei vincoli di legge.

Dopo l’art. 2 septies del D.L. n. 81/2004, convertito in L. n. 138/2004, l’opzione del dirigente per l’attività intra o extramoenia è sempre revocabile, circostanza che consente quindi di passare liberamente dal rapporto esclusivo a quello non esclusivo e viceversa; al tempo stesso, la non esclusività del rapporto di lavoro non preclude più, come era in origine, la direzione di strutture semplici e complesse.

L’opzione tra le due tipologie di rapporto può essere esercitata entro il 30 novembre di ciascun anno con effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo, salva la facoltà per le Regioni di stabilire una cadenza temporale più breve.

In particolare, per attività libero-professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza del ruolo sanitario si intende:

1. l’attività che detto personale , individualmente o in equipe, esercita fuori dell’orario di lavoro e delle attività previste dall’impegno di servizio, in regime ambulatoriale, ivi comprese anche le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital , di day surgery e di ricovero, sia nelle strutture ospedaliere che territoriali individuate dal direttore generale, in favore e su libera scelta dell’assistito e con oneri a carico dello stesso o di assicurazioni o dei fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale di cui all’art.9 D. Lgs. n. 502/1992 e successive modifiche e integrazioni;

2. la possibilità di partecipazione ai proventi di attività, richiesta a pagamento da singoli utenti e svolta individualmente o in equipe in strutture di altra azienda del Servizio Sanitario Nazionale nonché in altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione con l’azienda di appartenenza;

3. la possibilità di partecipazione ai proventi di attività professionali, richieste a pagamento da terzi alla Fondazione, quando le predette attività consentano la riduzione dei tempi di attesa, secondo programmi predisposti dalla Fondazione stessa, sentite le equipe dei servizi interessati.

La libera professione, anche quando è esercitata all’interno delle strutture aziendali, deve essere svolta ”al di fuori dell’orario di lavoro” e con modalità (spazi, orari, contabilità) tali da evitare una commistione con l’attività istituzionale: anche i giudici contabili (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Calabria, 13/12/2012, n. 373) hanno chiarito che l’attività libero professionale deve essere svolta fuori dell’orario di servizio ed organizzata in orari diversi da quelli stabiliti per qualsiasi tipo di attività istituzionale, ivi compresa la pronta disponibilità e la guardia medica; può essere effettuata eccezionalmente durante l’orario ordinario di lavoro limitatamente e nel rispetto dei protocolli predeterminati da concordare con l’azienda.

L’art.1, della legge n. 120 del 2007 ha fatto carico alle Regioni di predisporre le strutture necessarie per consentire al personale medico lo svolgimento dell’attività intramuraria, consentendo, in mancanza e nelle more della loro realizzazione o individuazione, di reperire spazi sostitutivi in strutture non accreditate, ovvero di utilizzare, previa autorizzazione, studi professionali privati; tale disposizione ha, inoltre, stabilito che “le Regioni debbano garantire, attraverso proprie linee guida, che le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli IRCCS di diritto pubblico gestiscano, con integrale responsabilità propria, l’attività libero-professionale intramuraria al fine di assicurarne il corretto esercizio”, ed ha individuato le modalità con cui tale finalità deve essere assicurata.

L’art. 1, comma 5, L.23/12/1996, n. 662, statuisce che l’attività libero professionale da parte dei soggetti che hanno optato per la libera professione extra-muraria non può comunque essere svolta presso le strutture sanitarie pubbliche, diverse da quelle di appartenenza, o presso le strutture sanitarie private accreditate, anche parzialmente: al medico che abbia il regime di extra-moenia  è impedito, quindi, di svolgere la propria attività libero professionale presso altre strutture del SSN, pubbliche o private che siano.

La vicenda giudiziaria

Il dirigente sanitario di una ASL ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma (alla quale si era rivolta per ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima sospensione dell’attività libero professionale intramoenia, attività inizialmente avviata in via sperimentale), che ha escluso che l’art. 15-quinquies, comma 4, d.lgs. n. 502/1992 attribuisca ai dirigenti sanitari un diritto soggettivo perfetto allo svolgimento dell’attività intramuraria, essendo rimessa alle scelte organizzative dei vertici aziendali la determinazione delle unità che possono esercitare la propria attività anche in privato: la Corte territoriale , nella sentenza impugnata, ha evidenziato che la norma affida ai vertici aziendali una valutazione discrezionale, da esercitare in funzione del più efficiente svolgimento del servizio e di considerazioni economiche connesse alle previsioni di comparazione tra costi e benefici.

La sentenza della Cassazione

La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 35056 del 14 dicembre 2023, che si segnala, ha accolto il ricorso del dirigente sanitario (che sosteneva, essendo in regime di esclusività, di essere titolare di un vero e proprio diritto soggettivo allo svolgimento dell’attività libero professionale), affermando il seguente principio di diritto:

Il dirigente medico assunto a tempo indeterminato in regime di esclusività è titolare di un diritto soggettivo allo svolgimento dell’attività libero professionale intramuraria, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Grava, pertanto, sull’Azienda sanitaria l’obbligo di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per consentire la realizzazione delle condizioni al cui verificarsi l’esercizio dell’attività medesima è subordinato. L’inadempimento dell’Azienda e l’ingiustificato ritardo legittimano il dirigente medico a chiedere il risarcimento del danno e la relativa azione è regolata, quanto al riparto degli oneri di allegazione e di prova, dal principio enunciato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001.

Per il Collegio di legittimità, deve ritenersi condivisibile il principio espresso dalla Corte nell’ordinanza n. 12785/2023, che ha riconosciuto la sussistenza di un vero e proprio diritto contrattuale dei dirigenti medici all’esercizio dell’attività libero professionale intra moenia, a fronte delle previsioni contenute nell’art. 4, comma 7, della legge n. 412/1991, secondo cui “… L’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse…”.

Altrettanto dicasi di quanto stabilito dall’art. 4, comma 10, del d.lgs. n. 502/1992, che ha sancito l’obbligo delle aziende sanitarie di mettere a disposizione dei professionisti spazi adeguati per l’esercizio della professione:“…In caso di documentata impossibilità di assicurare gli spazi necessari alla libera professione all’interno delle proprie strutture, gli spazi stessi sono reperiti, previa autorizzazione della regione, anche mediante appositi contratti tra le unità sanitarie locali e case di cura o altre strutture sanitarie, pubbliche o private. Per l’attività libero-professionale presso le suddette strutture sanitarie i medici sono tenuti ad utilizzare i modulari delle strutture sanitarie pubbliche da cui dipendono …”.

Viene, pertanto, ritenuto superato l’orientamento espresso dalla stessa Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32709/2018, secondo cui la mancata creazione di idonee strutture e spazi per l’attività intramuraria e in generale la mancata attivazione delle condizioni per l’esercizio della libera professione intramoenia determina la sola conseguenza espressamente prevista dall’art. 4, comma 3, della legge n. 724 del 1994, ossia l’eventuale risoluzione del contratto del direttore generale dell’Azienda ospedaliera, potendo solo il legislatore prevedere eventuali ulteriori conseguenze della mancata attivazione di dette condizioni.

Gli Ermellini richiamano, nella sentenza che qui si annota, la pronuncia della Corte Costituzionale n.54/2015, intervenuta con riferimento a una legge regionale della Liguria del 2014, che ha qualificato come vero e proprio diritto soggettivo la posizione giuridica dei dirigenti medici con rapporto di esclusività all’esercizio dell’attività libero professionale intra moenia: la Corte Costituzionale, in tale sentenza, ricostruendo il quadro normativo anteriore al d.lgs. n. 502/92, ha precisato che, fin dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera), al personale medico degli istituti di cura e degli enti ospedalieri è stata riconosciuta la possibilità, nelle ore libere dalle attività istituzionali, di svolgere la libera professione, anche nell’ambito della struttura sanitaria di appartenenza(art. 43, comma 1, lettera d); la Corte Costituzionale, si legge nella sentenza de qua, ha individuato una relazione di corrispettività tra il diritto soggettivo allo svolgimento dell’attività libero professionale inframuraria per i medici e i dirigenti del ruolo sanitario ed il loro assoggettamento al rapporto di lavoro esclusivo, evidenziando che la disciplina dell’attività libero professionale intramuraria realizza una mediazione tra contrapposti interessi.

Ad avviso dei giudici di legittimità, gli obblighi imposti al Direttore Generale (art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448), con riferimento all’attività libero professionale intramuraria della dirigenza sanitaria, che, in caso di inadempimento, impediscono il rinnovo dell’incarico, nonché, nei casi di maggiore gravità, anche la revoca, unitamente alla previsione della nomina da parte della Regione di un commissario ad acta, smentiscono la tesi, sostenuta dalla Corte territoriale, della discrezionalità degli atti finalizzati all’attivazione dell’attività professionale intramuraria.

In conclusione, per i giudici della Corte Suprema, dal complesso delle disposizioni legali e contrattuali esaminate, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 54/2015, di cui si è detto, si desume che la posizione giuridica del dirigente medico è stata configurata dal legislatore come diritto soggettivo; ne consegue, per il Collegio, che va riconosciuto il risarcimento del danno qualora l’Amministrazione si renda ingiustificatamente inadempiente; in forza di tali disposizione, si legge nella pronuncia che si commenta, le Aziende Sanitarie Locali sono tenute ad assumere tempestive iniziative per consentire al dirigente medico in regime di esclusività di svolgere libere prestazioni intramurarie ove intenda effettuarle: non sono dunque, viene rimarcato, libere di attivare o meno l’attività intramuraria, ma hanno una discrezionalità limitata alla selezione degli spazi.

Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Visualizza il documento: Cass., 14 dicembre 2023, n. 35056

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