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Per la Corte costituzionale, se la prosecuzione dell’attività imprenditoriale “finanziata” con l’anticipazione della Naspi diviene impossibile per cause non imputabili al percettore, la restituzione non è integrale
Premessa
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), disciplinata dal d.lgs. n. 22/2015 (e che ha com’è noto sostituito le precedenti prestazioni di disoccupazione ASpI e MiniASpI), erogata in relazione a eventi di disoccupazione involontaria, può essere corrisposta anche in forma anticipata.
L’ambito oggettivo è quello riferito ai beneficiari di indennità NASpI che siano stati licenziati dal 1° maggio 2015 e che intendano: avviare un’attività lavorativa autonoma; avviare un’impresa individuale; sottoscrivere una quota di capitale sociale di una cooperativa con rapporto mutualistico di attività lavorativa da parte del socio; sviluppare a tempo pieno e in modo autonomo un’attività autonoma già iniziata durante il rapporto di lavoro dipendente che, una volta cessato, abbia dato luogo alla NASpI.
L’importo dell’indennità mensile NASpI spettante, e non ancora percepito, è dunque liquidato in unica soluzione, previa trattenuta dell’imposta sul reddito delle persone fisiche secondo la normativa vigente.
Qualora il percettore di NASpI sia beneficiario dell’indennità in misura ridotta (pari all’80% del reddito presunto derivante da attività di lavoro autonomo per effetto di precedente opzione per il cumulo fra quest’ultimo reddito e la prestazione NASpI), la prestazione anticipata è erogata considerando l’importo residuo da corrispondere senza applicazione della riduzione medesima.
L’indennità va restituita quando il lavoratore instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per il quale l’indennità corrisposta in forma anticipata sarebbe durata se fosse stata erogata in forma mensile.
La restituzione è in ogni caso esclusa in caso del rapporto di lavoro frutto dalla sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa.
La normativa di riferimento non regolava un’eventuale restituzione “parziale” dell’indennità economica di che trattasi.
Con la sentenza n. 194 del 20.10.2021, la Corte Costituzionale aveva affermato la legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 22/2015 relativo alla richiesta di restituzione della NASpI liquidata in anticipo, quale incentivo all’iniziativa di autoimprenditorialità, in caso di intrattenimento di un rapporto di lavoro subordinato anche di brevissima durata.
La sentenza ha ritenuto che non si possa richiedere all’Inps un’analisi, caso per caso, della eventuale compatibilità tra lo svolgimento di lavoro subordinato e mantenimento dell’attività imprenditoriale, dovendo l’Istituto applicare la norma di legge, secondo la quale la restituzione prescinde da ogni valutazione in ordine all’entità del lavoro subordinato o della retribuzione percepita.
Alla base della decisione di inammissibilità delle questioni sollevate, la Consulta ha poi ritenuto che la norma censurata non sia irragionevole, posto che il vincolo cui è tenuto il lavoratore non è eccessivamente gravoso, essendo, da un lato, temporalmente parametrato alla durata della NASpI e, dall’altro, facilmente evitabile con il ricorso a prestazioni non riconducibili nell’alveo della subordinazione.
A corredo della decisione la Corte costituzionale ha però evidenziato la necessità di introdurre meccanismi di flessibilità per evitare che la rigidità della preclusione del lavoro subordinato, prevista dalla disposizione censurata, possa costituire, in concreto, un indiretto fattore disincentivante di genuine e virtuose iniziative di autoimprenditorialità o di lavoro autonomo, idonee a superare situazioni di disoccupazione involontaria.
Sul punto, allo stato il legislatore (anche nell’ipotesi di una volontà di adeguarsi alla moral suasion della Consulta) non è ancora intervenuto.
Con la più recente sentenza, la n. 90 del 20 maggio 2024, qui annotata, la Corte costituzionale, chiamata nuovamente a esprimersi sulla possibile incostituzionalità del richiamato art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 22/2015, ha questa volta invece stabilito che la restituzione dell’anticipazione NASpI deve parziale (e non integrale) se l’attività imprenditoriale finanziata con l’anticipazione diventa impossibile per cause non imputabili al percettore; in queste situazioni la restituzione è dunque proporzionale alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato durante il periodo coperto dalla NASpI.
Vediamo, nel dettaglio, i contenuti di detta sentenza, emessa nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 22/2015 promosso dal Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro.
La fattispecie
Con ordinanza del 6 dicembre 2022 il Tribunale rimettente riteneva non costituzionalmente orientata la citata previsione normativa, nella parte in cui prevede, senza possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego (d’ora in avanti: NASpI) se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.
La fattispecie alla base di questa decisione di merito era quella nella quale un soggetto aveva richiesto la liquidazione anticipata dell’indennità NASpI a lui spettante, al fine di intraprendere l’attività imprenditoriale di esercizio commerciale (un bar).
A decorrere dall’annualità 2020, in ragione della mancata produzione di redditi conseguente alla chiusura del bar stabilita dalla decretazione d’urgenza a causa della pandemia da COVID-19, il lavoratore aveva deciso di non proseguire l’attività di impresa (tra l’altro l’azienda era stata ceduta per un corrispettivo molto inferiore a quello pagato inizialmente per rilevarla -quasi un decimo del prezzo di acquisto-) e così iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
In ragione della costituzione di detto rapporto di lavoro subordinato prima che spirasse il termine coperto dalla NASpI, l’Inps chiedeva la restituzione dell’intero importo erogato a titolo di anticipata liquidazione del trattamento indennitario di che trattasi.
Da qui l’opposizione proposta avverso tale richiesta, con richiesta di accertamento della non debenza dell’asserito indebito, oggetto della ripetizione pretesa dall’Istituto.
La sollevata questione di legittimità costituzionale
In punto di non manifesta infondatezza, il tribunale rimettente era dell’avviso che la disposizione oggetto di censura si poneva in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, per un duplice aspetto: a) da un lato, nei casi di impossibilità sopravvenuta dello svolgimento dell’attività di impresa, la disposizione censurata evidenzierebbe una incoerenza tra l’integrale restituzione dell’indennità percepita e l’effettivo svolgimento dell’attività di impresa; b) dall’altro, analoga incoerenza sussisterebbe sotto il profilo della sproporzione degli effetti.
Più nel dettaglio l’ordinanza di rimessione, facendo leva sulla concreta situazione che ha determinato la cessazione dell’attività imprenditoriale, ha osservato come l’integrale restituzione dell’indennità percepita non possa trovare ragionevole giustificazione nella finalità antielusiva quando sia dimostrato (come appunto nel caso di specie) che l’attività imprenditoriale è stata iniziata e proseguita anche con l’impiego di capitali rilevanti, per poi interrompersi a seguito di un evento imprevedibile, nella specie la pandemia legata alla diffusione del COVID-19, che ha obbligato i titolari di esercizi commerciali alla chiusura degli stessi per periodi non trascurabili.
Con riguardo all’assenza di proporzionalità della reazione legislativa, il rimettente ha richiamato, evidenziandone il punto, la già richiamata sentenza n. 194/2021 secondo la quale seppur in presenza del fatto che la scelta del legislatore «fosse stata esercitata in modo non manifestamente irragionevole», «sarebbe possibile ipotizzare criteri alternativi, connotati, da una qualche flessibilità».
In definitiva, ad avviso del tribunale rimettente, la restituzione integrale dell’anticipata a quo liquidazione della NASpI rappresenterebbe una conseguenza irragionevole nella sua rigidità, che non lascia né all’Inps né al giudice alcun margine di valutazione in relazione al caso concreto, senza contare il fatto che la disposizione censurata, nel prevedere l’integrale restituzione della somma anticipata sarebbe comunque irragionevole, in quanto
l’importo anticipato è stato interamente utilizzato al fine di acquistare l’attività economica, con la conseguenza che la restituzione integrale risulterebbe eccessivamente gravosa, anche alla luce delle perdite già subite dal ricorrente, il quale ha venduto l’attività per un prezzo molto inferiore a quello di acquisto.
Sempre secondo l’ordinanza di rimessione, sussisterebbero anche sia la violazione dell’art. 4, co. 1, Cost., sia il contrasto con l’art. 36 Cost., in quanto per effetto della disposizione in esame, il soggetto percettore dell’indennità anticipata si troverebbe davanti alla scelta di rinunciare allo svolgimento di attività retribuita al fine di evitare di restituire l’importo ricevuto, privandosi del reddito necessario per la sua sussistenza, sia ancora il contrasto con l’art. 41 Cost., in relazione al principio della libera imprenditorialità che va riconosciuta anche ai soggetti percettori della NASpI anticipata.
Intervenendo nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che le questioni fossero dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.
A sua volta, anch’esso costituitosi, l’Inps ha dedotto, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni e, nel merito, la non fondatezza delle questioni per le ragioni già indicate nella sentenza n. 194/2021.
Il decisum
La sentenza in commento, nel ritenere le eccezioni erariali non fondate, premette (recte, sottolinea) che nella sentenza n. 194/2021 (come già visto, concernente una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la medesima disposizione in parte qua censurata), ha disatteso una analoga eccezione di inammissibilità, affermando che «in generale, l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), spettando a questa Corte, ove ritenuto sussistente il denunciato vizio di illegittimità costituzionale, individuare il dispositivo più idoneo a rimuovere tale vizio».
Le eccezioni dell’Avvocatura dello Stato e della difesa dell’Inps non sono dunque fondate, atteso che il giudice a quo ha indicato, in modo sufficientemente compiuto, il contenuto della pronuncia additiva auspicata, laddove dubita della legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 22/2015, nella parte in cui appunto prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASpI senza possibilità di adeguare tale obbligo restitutorio nell’ipotesi in cui la prosecuzione dell’attività sia stata impedita dall’impossibilità sopravvenuta di svolgere l’attività imprenditoriale e il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.
Ricostruita poi l’evoluzione del quadro legislativo di riferimento (già operata tra l’altro dalla Corte nella più volte richiamata sentenza n. 194/2021), la sentenza in commento ritiene fondata la sollevata questione di costituzionalità per le ragioni che seguono.
Richiamata nuovamente la precedente decisione n. 194/2021, la Corte evidenzia di aver già rimarcato che l’anticipazione dell’incentivo all’imprenditorialità ha la finalità di «favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato» ed ha aggiunto che «[s]i tratta, in sostanza, di forme tipiche di legislazione promozionale, volte ad incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma di occupazione “alternativa” rispetto al lavoro dipendente, “convertendo” in lavoratori autonomi o imprenditori i lavoratori in cerca di occupazione, con l’ulteriore possibile effetto indotto, per lo stesso mercato del lavoro, della eventuale insorgenza di nuove occasioni di lavoro nel medio-lungo periodo».
Da qui, pertanto, la giustificazione della previsione della restituzione integrale dell’importo dell’incentivo essendo stato tale obbligo ricondotto alla specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa, in quanto l’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui spetterebbe altrimenti la prestazione periodica, è un indice rivelatore della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa, che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica.
Orbene, i principi enunciati dalla sentenza n. 194/2021, successivamente confermati dalla sentenza n. 38/2024 (che ha affrontato, rigettandole, alcune questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, co. 5, della legge n. 223/1991), vanno ulteriormente ribaditi anche con riferimento all’ipotesi di promozione di un’attività imprenditoriale che in concreto non consegua i risultati sperati dal lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI.
Quest’ultimo, infatti, beneficiando dell’erogazione integrale, senza essere tenuto a rispettare le condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22/2015 (la regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa; i percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti; l’onere di ricerca attiva di un’occupazione per il reinserimento nel tessuto produttivo), accetta di sperimentare il percorso alternativo di promuovere un’attività imprenditoriale, assumendo anche il relativo rischio d’impresa che ne costituisce una componente intrinseca.
Del resto, il rischio di impresa è insito nella finalità stessa dell’incentivo all’autoimprenditorialità, stante che al lavoratore è lasciata la scelta di beneficiare dell’indennità della NASpI, in un’unica soluzione e nell’importo complessivo del trattamento che gli spetta, in luogo dell’erogazione periodica soggetta alle condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22/2015, all’inottemperanza delle quali conseguirebbe l’interruzione della percezione della prestazione.
Qualora il lavoratore opti per l’incentivo all’autoimprenditorialità, percependo quindi immediatamente e integralmente (di nuovo, senza le condizionalità del già citato art. 7), quanto altrimenti conseguirebbe periodicamente e sub condicione, è ben evidente che deve “mettere in conto” il possibile esito negativo dell’attività di impresa, essendo esso compreso in tale calcolo di convenienza.
Diversa è, invece, la fattispecie (quella appunto oggetto del giudizio principale che ci occupa) che concerne l’ipotesi particolare in cui il percettore dell’anticipazione dell’indennità, dopo aver intrapreso e svolto per un significativo periodo di tempo l’attività imprenditoriale, non possa proseguirla per cause sopravvenute e imprevedibili, a lui non imputabili, e costituisca un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo della NASpI.
La disposizione censurata, non facendo alcuna distinzione in punto, impone che il percettore dell’anticipazione dell’indennità, qualora instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, sia tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, benché l’attività imprenditoriale non sia proseguita a causa di una condizione di impossibilità sopravvenuta o di insuperabile oggettiva difficoltà.
In questa fattispecie emerge però; a) per un verso che, qualora l’attività imprenditoriale sia stata effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, grazie all’utilizzo dell’incentivo all’autoimprenditorialità, la finalità antielusiva risulta esaurita, in quanto pienamente realizzata, e quindi non si verte in una situazione in cui possa esserci «mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa» (v. sent. n. 194/2021); b), per altro verso, non può essere priva di rilevanza la circostanza che il percettore dell’anticipazione si sia trovato nella situazione di non poter proseguire l’attività imprenditoriale per causa a lui non imputabile.
A fronte quindi di un accadimento imprevisto può insorgere l’impossibilità o la oggettiva insuperabile difficoltà della prosecuzione dell’attività di impresa, in concreto avviata e fino ad allora esercitata, aspetto questo che fa diventare all’evidenza sproporzionata l’integralità dell’obbligo restitutorio, rendendo il medesimo inesigibile secondo i canoni di correttezza e buona fede, che in generale integrano il rapporto obbligatorio.
Del resto, la clausola generale di cui all’art. 1175 cod. civ. (che com’è noto impone alle parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza) «vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore» (v. sent. n. 8/2023).
Vista da questa angolazione, ad avviso del Giudice delle leggi la previsione della restituzione integrale, per il caso in cui il lavoratore non abbia altra scelta che procurarsi un reddito mediante l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dalla indennità, stante l’impossibilità di proseguire l’attività autonoma, risulta affetta da un rigore eccessivo, che si traduce in intrinseca irragionevolezza e mancanza di proporzionalità, di tal che non si giustifica più l’integralità dell’obbligo restitutorio dell’anticipazione in luogo della sua parametrazione alla durata del rapporto stesso.
Orbene, il rigore della regola, che impone la restituzione integrale con riferimento alla fattispecie generale, non può andare disgiunto da una clausola di flessibilità che tenga conto delle ipotesi particolari.
Laddove, quindi, per cause indipendenti dalla volontà del percettore l’attività imprenditoriale, per la quale l’anticipata liquidazione della NASpI risulti essere stata effettivamente utilizzata, non possa essere proseguita, la integralità della restituzione difetta di proporzionalità, dovendo la stessa essere invece riparametrata affinché l’obbligo restitutorio risulti commisurato al periodo di mancata prosecuzione dell’attività d’impresa.
Quindi, se da un lato il rischio di impresa comporta la non irragionevolezza dell’obbligo della restituzione integrale quando l’attività imprenditoriale risulti improduttiva, in conseguenza di scelte legate alla conduzione dell’attività aziendale, che abbiano portato all’insuccesso della stessa, dall’altro, ciò non può predicarsi qualora la prosecuzione dell’attività sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per un fatto sopravvenuto non imputabile al lavoratore, il quale infine rinunci a continuarla.
Secondo la sentenza in commento, ciò è quanto accade, in particolare, se l’impossibilità di proseguire l’attività d’impresa derivi da condizioni di forza maggiore, come nella specie per il rappresentato dalle misure factum principis di contrasto della pandemia da COVID-19 e dalle relative chiusure o restrizioni per gli esercizi pubblici, solo alleviate da sostegni e provvidenze, o derivi da altre circostanze similari, quali eventi naturali o fenomeni atmosferici estremi o finanche fatti dell’uomo (come in caso di devastazione dolosa ad opera della criminalità), ma tutti non imputabili al percettore dell’incentivo.
In altre parole, senza la necessaria parametrazione dell’obbligo restitutorio nelle indicate evenienze particolari, la disposizione censurata vìola i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 Cost.
La Corte ha poi ritenuto la sollevata questione fondata anche in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 4, co. 1, Cost., atteso che la disposizione censurata, nel prevedere l’obbligo restitutorio integrale dell’anticipazione quando la prosecuzione dell’attività di impresa sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore, finisce con il violare anche il diritto al lavoro, dal momento che ai percettori dell’indennità anticipata, che senza colpa abbiano rinunciato a proseguire l’attività imprenditoriale, è sostanzialmente preclusa la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il successivo periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI.
A ben vedere, infatti, salvo occasioni di lavoro autonomo, il lavoratore, per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione, dovrebbe rimanere inattivo e attendere (senza lavorare, appunto) la scadenza del periodo per il quale è stata concessa l’anticipazione, ciò potendo all’evidenza comportare anche la privazione dei mezzi di sussistenza.
Appare pertanto configurabile la violazione altresì dell’art. 4 Cost., il quale è declinato finanche come «dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
Nel ritenere assorbito ogni ulteriore profilo di censura, la sentenza in commento prova a stabilire un rimedio appropriato alla evidenziata violazione.
A fronte dell’aspirazione del tribunale rimettente di ottenere una pronuncia che sostituisca l’attuale obbligo restitutorio a quo integrale con la previsione di criteri di flessibilità che permettano di adeguare la decisione al caso concreto (laddove il lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI, non abbia potuto continuare l’attività imprenditoriale a cagione di una situazione di forza maggiore o di una sopravvenuta causa a lui non imputabile), ad avviso della Corte i vizi denunciati possano essere rimediati proporzionando l’obbligo restitutorio alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità della NASpI.
Con riferimento a tale periodo la NASpI risulta, in parte qua, priva di causa e quindi indebita; alla estensione di tale periodo, pertanto, va commisurato l’obbligo restitutorio come soluzione adeguata ad assicurare il rispetto dei sopra richiamati parametri di legittimità costituzionale.
Ed ecco allora il dispositivo con il quale viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 22/2015, “nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della NASpI nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.”
Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena
Visualizza il documento: C. cost., 20 maggio 2024, n. 90
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L'articolo Per la Corte costituzionale, se la prosecuzione dell’attività imprenditoriale “finanziata” con l’anticipazione della Naspi diviene impossibile per cause non imputabili al percettore, la restituzione non è integrale sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.