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By Rivista Labor – Pacini Giuridica · 11 March 2024

Aggiornamenti, Contratto di lavoro

Omesse o inesatte dichiarazioni del candidato ed esclusione dal pubblico concorso

La decisione che si annota (Cons. Stato, 4 gennaio 2024, n. 148) origina da una procedura concorsuale il cui atto regolatorio prevedeva in capo al candidato l’obbligo di dichiarare nella domanda di partecipazione, a pena di esclusione, «l’assenza di condanne penali e di procedimenti penali in corso» ovvero, in caso contrario, di indicare «le condanne riportate, le date della sentenza e l’autorità giudiziaria emanante… nonché i procedimenti penali eventualmente pendenti».

A seguito dell’effettuazione delle verifiche prodromiche alla stipula del contratto di lavoro, l’amministrazione bandente era venuta a conoscenza di una condanna penale a carico di un candidato inflitta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per i reati di falso ideologico, falso materiale e peculato. Pertanto, in ragione di ciò, era stato adottato un provvedimento di esclusione dal concorso con connessa decadenza dalla graduatoria.

Seguiva l’impugnazione da parte del candidato escluso, non accolta dal TAR territorialmente competente.

Con il successivo atto di gravame, veniva reclamata l’erroneità della sentenza di primo grado: i) per non aver tenuto conto del fatto che il candidato, molti anni dopo lo svolgimento del concorso, era stato assolto per il solo reato di falso ideologico; ii) per non aver considerato estinti i reati oggetto di condanna definitiva a seguito del decorso del termine di cinque anni previsto dall’art. 445, comma 2, c.p.p.; iii) per non aver correttamente apprezzato l’asserita violazione del principio di proporzionalità che avrebbe inficiato il provvedimento di esclusione ritenuto eccessivamente punitivo.

Tali argomentazioni difensive non sono state condivise dalla Sezione giudicante sulla base della considerazione che i fatti intervenuti in epoca successiva devono ritenersi inidonei a sanare eventuali vizi e/o omissioni della domanda. A nulla rileva, dunque, l’eventuale sopravvenuta assoluzione e/o estinzione del reato poiché, secondo l’atto regolatorio della procedura, il candidato aveva comunque l’onere di inserire nella propria domanda di partecipazione i dati e le informazioni richieste a pena di decadenza. Onere che risulta coerente con i “principi immanenti al sistema di trasparenza e leale collaborazione tra P.A. e privato” e risponde all’esigenza di consentire al datore di lavoro pubblico di conoscere informazioni relative al dipendente che si accinge ad assumere e di valutarne le dichiarazioni rese affinché il rapporto di lavoro sia instaurato su basi di reciproca fiducia.

Pertanto, l’esclusione del candidato in ragione del mancato rispetto dell’onere informativo previsto dalla lex specialis risulta un atto dovuto ed in capo all’amministrazione non residua alcuna discrezionalità. In altri termini, in presenza di dichiarazioni omissive e/o inesatte, la clausola escludente contenuta nel bando – nel caso di specie neppure impugnata – obbliga la P.A. a decretare la decadenza del candidato dalla graduatoria senza possibilità di poter graduare la sanzione assumendo un provvedimento di diversa portata.

Il descritto punto di approdo appare dunque coerente con la giurisprudenza elaborata in maniera più articolata in ambito civile (cfr. Cass., 8 giugno 2020, n. 10854) secondo cui nel pubblico impiego privatizzato la decadenza «si applica allorquando l’infedeltà del contenuto della dichiarazione sostitutiva comporti la assenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione; ciò che assume rilievo è, in altri termini, la oggettiva assenza del requisito, che determina la decadenza di diritto, quale effetto di un vizio genetico del contratto (nullità). Sicché è la falsità di dati decisivi per la assunzione a comportare la decadenza, senza possibilità di qualsivoglia diversa valutazione».

In conclusione, sia consentito dare conto del recente d.p.r. 6 giugno 2023, n. 82 con cui è stato parzialmente novellato il regolamento adottato con d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487 “recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”.

A ben vedere, le novità contenute in seno ai “nuovi” artt. 2 (comma 7, secondo periodo) e 4 (commi 2 e 5) recepiscono la prassi amministrativa ormai stratificata nel tempo prevedendo, come nel caso di specie, l’obbligo del candidato di dichiarare tutti i precedenti penali ed i carichi pendenti.

Ciò che muta è l’estensione dell’obbligo informativo.

Ed infatti, se a mente dell’art. 28, comma 8, del d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 (cosiddetto testo unico in materia di casellario giudiziale) «l’interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rende dichiarazioni sostitutive relative all’esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui all’articolo 24, comma 1 (n.d.r. ovverosia delle condanne non risultanti dal certificato del casellario richiedibile dal privato)», il nuovo testo dell’art. 4, comma 2, lett. l), del d.p.r. n. 487/1994 richiede, per i concorsi pubblici, la dichiarazione di tutte le condanne risultanti nel casellario giudiziale richiedibile dall’autorità a fini di giustizia; vale a dire di tutte le condanne inflitte a prescindere dalla concessione del beneficio della non menzione (art. 175 c.p.) o dall’estinzione del reato dopo la condanna (artt. 167 c.p., 445, 460 c.p.p., etc.) eccezion fatta per le ipotesi di eliminazione indicate all’art. 5 del d.p.r. n. 313/2002 (revisione della condanna, rescissione del giudicato, etc.).

A ben vedere, i poteri investigativi della P.A. appaiono invero limitati in quanto, di norma, essa può ottenere a richiesta soltanto il cosiddetto certificato selettivo, ovverosia un certificato contenente esclusivamente le iscrizioni che siano pertinenti e rilevanti in relazione alle finalità istituzionali perseguite (così l’art. 28 del d.p.r. n. 313/2002). Solo laddove «non può procedersi, sulla base delle disposizioni che regolano i singoli procedimenti amministrativi, alla selezione delle iscrizioni pertinenti e rilevanti» (comma 3), è legittimata la richiesta del cosiddetto certificato generale. Tuttavia, anche in tale eventualità non potranno risultare (comma 7): i) le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e le condanne per reati estinti a norma dell’articolo 167, comma 1, c.p. per esito positivo della sospensione condizionale della pena; ii) i provvedimenti che ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p., dispongono la sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché le sentenze che ai sensi dell’art. 464-septies c.p.p. dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova; iii) i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art.131-bis c.p.

Ne deriva che una dichiarazione mendace del candidato potrebbe non essere sanzionata perché impossibile da rilevare anche a seguito di approfonditi controlli. Diviene quindi auspicabile ed opportuno un intervento correttivo per sanare la rilevata discrasia, per esempio proprio autorizzando la P.A. ad accedere al casellario giudiziale richiedibile ai fini di giustizia onde consentire l’espletamento di approfondite ed efficaci verifiche connesse all’espletamento di concorsi pubblici.

Giuseppe Leotta, docente presso il Conservatorio di musica “Santa Cecilia” di Roma, dottore di ricerca e avvocato in Roma

Visualizza il documento: Cons. Stato, sez. IIIª, 4 gennaio 2024, n. 148

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