L’effettività del motivo di licenziamento addotto e l’estensione della ricerca di posizioni utili ad evitarlo
Il Tribunale di Napoli Nord con la sentenza in commento (n. 1539 del 25 marzo 2024) ha definito il giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, corredato da una ulteriore domanda risarcitoria per danni all’immagine ed alla professionalità (quest’ultima, priva di interesse in questa sede, rigettata per radicale difetto di allegazione).
È d’obbligo segnalare che la controversia è stata poi conciliata.
L’impugnativa si fondava sulla asserita insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto, consistente nella “decisione di sopprimere la posizione lavorativa di addetto alla rete commerciale per l’Area Campania e Basilicata” occupata dalla ricorrente e, comunque, sulla violazione dell’obbligo di repêchage.
Dal canto suo, la società si difendeva deducendo che la propria rete commerciale era da sempre costituita esclusivamente da agenti (ad eccezione della posizione oggetto di causa) e di aver deciso di rendere uniforme la gestione sul territorio sotto il profilo economico e normativo, affidando ad un agente anche il ruolo di addetto alla rete commerciale, sino ad allora occupato dalla ricorrente.
Quanto alla possibilità di ricollocazione della lavoratrice all’interno della struttura, viste le deduzioni contenute in ricorso circa la presenza di posizioni vacanti e l’incremento dell’organico aziendale verificatosi in epoca successiva al licenziamento, la convenuta affermava, depositando documentazione a supporto, che nell’organigramma aziendale non vi fossero posizioni scoperte.
Precisava altresì che le nuove assunzioni avevano riguardato esclusivamente posizioni impiegatizie di IV e V livello, con un inquadramento inferiore (di oltre un livello) rispetto alla ricorrente.
Quanto al primo profilo di impugnazione, il Tribunale ravvisa l’effettività della scelta ed afferma al riguardo “è risultato, infatti, che il posto della ricorrente è stato effettivamente soppresso per essere affidato ad un agente; tale scelta, poi, non è sindacabile dal giudice rientrando nel merito delle scelte aziendali, da ritenersi libere alla luce del disposto dell’art. 41 Cost.”.
A supporto della propria ricostruzione, richiama quindi l’univoco orientamento di legittimità secondo cui “non è sindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto a cui era addetto il dipendente licenziato, sempreché risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato” (così Cass. Civ. Sez. lav., 7 gennaio 2002, n. 88) oltre a copiosa giurisprudenza di merito conforme a tali principi.
Per “puntellare” ulteriormente le proprie argomentazioni ed a riprova della effettiva soppressione della posizione, il Tribunale richiama altresì la proposta “di trasformare il proprio contratto da dipendente in rapporto di agenzia” formulata dalla società prima del licenziamento e rifiutata dalla lavoratrice.
Quanto al requisito della non pretestuosità, valorizza la circostanza (anch’essa comprovata in giudizio) che la società avesse sempre gestito la propria rete commerciale tramite agenti.
Riscontrata in tal modo l’effettiva sussistenza delle ragioni poste alla base del licenziamento, la sentenza passa alla verifica del rispetto dell’obbligo di repêchage, da svolgere nel rispetto dei principi posti dall’orientamento, ormai univoco, secondo cui “l’onere della prova in materia di repêchage è a carico del datore di lavoro, mentre sul lavoratore non grava alcun onere, neppure di allegazione (così, da ultimo Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 luglio 2024, n. 18904).
Dando atto, quindi, che il datore di lavoro aveva dimostrato l’indisponibilità di posizioni vacanti compatibili con la professionalità della ricorrente, anche in relazione alle nuove assunzioni, afferma “sia nell’ambito territoriale in cui la ricorrente ha sempre operato, sia nelle altri sedi aziendali, infatti, le posizioni riferibili all’inquadramento della ricorrente – come a quello immediatamente inferiore – risultavano tutte coperte (…) la resistente ha dimostrato che le assunzioni di impiegati – peraltro avvenute oltre sei mesi dopo il licenziamento – hanno riguardato personale inquadrato tra il quarto ed il quinto livello”.
Così facendo, tuttavia, la sentenza sembra ridurre il perimetro di applicazione dell’obbligo di repêchage, limitato alle sole posizioni di livello immediatamente inferiore a quello posseduto dal lavoratore licenziando, discostandosi dalla linea dettata dalla Suprema Corte secondo cui “l’onere della prova del datore è esteso anche alle mansioni inferiori, sicché egli è tenuto a provare che al momento del licenziamento non esista nessuna altra posizione lavorativa in cui possa utilmente ricollocarsi il licenziando, tenuto conto della organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento (Cass. 26 marzo 2010, n. 7381; Cass. 11 giugno 2014, n. 13112; Cass. 24 giugno 2015, n. 13116)”, così, da ultimo Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 luglio 2024, n. 18904, ed ancora “nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può ritenersi che non vengono in rilievo, ai fini dell’obbligo del repêchage, tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore (cioè che non siano disomogenee e incoerenti con la sua competenza)”, Cass. civ., Sez. lav., Sent., 3 dicembre 2019, n. 31521.
In applicazione di tali principi, pertanto, la valutazione avrebbe dovuto essere estesa a tutte le posizioni vacanti (e quindi anche alle successive assunzioni impiegatizie con inquadramenti di livello inferiore) con il solo limite della compatibilità con il bagaglio professionale della lavoratrice.
Francesco Rondina, avvocato in Roma
Visualizza il documento: Trib. Napoli Nord, 25 marzo 2024, n. 1539
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