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By Rivista Labor – Pacini Giuridica · 28 May 2024

Aggiornamenti, Contratto di lavoro, Diritto del lavoro comparato, internazionale e dell'Unione europea

Il Tribunale di Reggio Emilia sulla temporaneità della somministrazione

1. Sulla durata dei contratti di somministrazione

La disciplina in tema di somministrazione è frutto di una lunga elaborazione in ragione della molteplicità degli interessi che si intersecano nell’istituto regolato, in sede europea, dalla Direttiva 2008/104, che ha come obiettivo prioritario quello di garantire al lavoratore un trattamento non dissimile dalle altre tipologie di lavoro (considerando 12), ma anche quello di garantire la flessibilità nel mondo del lavoro (considerando 8).

La complessità della somministrazione ha comportato che la sua regolazione, inizialmente prevista nella Direttiva 1999/70 sui contratti a termine (v. considerando 3), veniva differita e approvata dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE solo con la Direttiva 2008/104, ben nove anni dopo e in assenza di un sollecitato accordo tra le parti (considerando 7).

Il legislatore europeo, richiamate tutte le precedenti direttive approvate in tema di lavoro e, in particolare, anche quella sul lavoro a tempo determinato, disciplina la fattispecie cercando di coniugare i diversi aspetti del fenomeno somministrazione.

In primo luogo, chiarito il divieto generale di non discriminazione, si ribadisce che lo scopo della Direttiva è quella di garantire le condizioni di vita dei lavoratori tramite agenzia interinale che nell’unione «sono caratterizzati da una grande diversità» (considerando n. 10) e necessitano dunque di discipline nazionali differenziate.

In secondo luogo, si pone l’accento sulle finalità sociali della somministrazione, considerato uno strumento, che «contribuisce (…) alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato», che va modulato tenendo conto delle «esigenze di flessibilità delle imprese» (considerando 11). La Direttiva, inoltre (considerando n. 15), chiarisce che la forma comune dei rapporti lavorativi è il contratto a tempo indeterminato e che, a tal fine, prevede che, ove il lavoratore sia assunto dall’agenzia interinale con tale modalità, considerata la «tutela garantita da tale contratto, occorrerebbe prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice».

In questo quadro di compromesso si innestano le differenze con altre tipologie di lavoro, come quello a tempo determinato, circa le quali balza subito all’occhio la mancanza di una specifica norma che definisca e regoli la durata della somministrazione al fine di contrastare i possibili abusi nell’utilizzo di tale tipologia per evitare la precarietà del lavoratore e incentivare la sua stabilizzazione. Diversamente invece accade per i contratti a termine, sul punto regolati dalla clausola 5 che prevede modalità di prevenzione e sanzioni in caso di abusi dell’istituto.

La Direttiva 2008/104 si limita invece a sollecitare gli stati membri a disporre misure al fine di «evitare ogni abuso nella reiterazione di missioni successive» (art. 5.5.)​ e all’adozione di misure «effettive, proporzionate e dissuasive» ai fini che le agenzie interinali e le imprese utilizzatrici si adeguino agli scopi della direttiva (art.9) e a garantirne l’attuazione» (art.10: in generale, sulle finalità della direttiva, v. FERRARA, Somministrazione di lavoro e tecniche anti abusive tra diritto europeo e diritto interno, in CHIAROMONTE, FERRARA (a cura di), Bisogni sociali e tecniche di tutela giuslavoristica. Questioni aperte e prospettive future, Franco Angeli, 2018, 165 ss.).

La genericità delle misure indicate nella direttiva ha reso necessario un percorso interpretativo da parte della Corte di giustizia al fine di rendere effettivi i confini e i diritti a tutela del lavoratore, che ha raggiunto un arresto con le note sentenze JH del 14.10.20, C-681/18 (LEPORE,  FANIZZI, Temporaneità della somministrazione di lavoro: protezione del lavoratore e tecniche anti-abusive dopo l’intervento della CGUE, questionegiustizia.it, 16.04.21)  e NP del 17.03.22, C-232/20 (su cui GALLEANO, Corte di giustizia 17.03.22 C-232/20 – Ancora sulla temporaneità della somministrazione, LDE, 13.07.22), che hanno fissato criteri e limiti per la legittimità dell’utilizzo del lavoro somministrato che, come vedremo sono stati tenuti presenti per la decisione delle cause che hanno portato alle decisioni qui commentate.

In sintesi, le sentenze europee citate hanno stabilito che la direttiva non impone né uno specifico limite di durata della somministrazione né il numero massimo di missioni, ma si limita a garantire parità di trattamento del lavoratore somministrato con gli altri dipendenti dell’ente utilizzatore.

La direttiva, in ogni caso, dispone che la somministrazione a termine deve essere di natura temporanea, risultando incompatibile l’utilizzo senza limite del lavoratore somministrato su posizioni lavorative essenziali all’ordinaria attività dell’utilizzatore.

La Corte di giustizia affida dunque il compito al giudice nazionale della causa principale, in caso di violazione del precetto della direttiva affinché, tenendo conto di tutte le caratteristiche e specificità del caso, verifichi in concreto il rispetto della temporaneità del rapporto di somministrazione sottoposto al suo esame e quali misure adottare in caso di violazione del precetto del legislatore europeo (LEPORE, FANIZZI, Temporaneità della somministrazione di lavoro: protezione del lavoratore e tecniche anti-abusive dopo l’intervento della CGUE, questionegiustizia.it, 16.4.2021). Il giudice del merito dovrà quindi valutare quali misure l’ordinamento nazionale prevede in caso di inadempienza al precetto della temporaneità del rapporto e la loro idoneità alla realizzazione delle finalità perseguite dalla direttiva.

Circa la durata della somministrazione a tempo determinato, la strada scelta dal legislatore italiano è stata originariamente quella di prevedere la costituzione di un rapporto di lavoro con l’effettivo utilizzatore, decorso un certo termine di utilizzo, più volte variato negli anni.​ Questa scelta era stata sospesa dal decreto Poletti (Jobs act) e reintrodotta dopo il decreto dignità del 2018, con l’obbligo di causali oltre i 12 mesi di durata complessiva e il limite massimo di utilizzo a 24 mesi (v. GIUBBONI, Somministrazione di lavoro e tecniche anti abusive alla prova del diritto dell’Unione, RIDL, 1/2021).​ Oggi il limite è tuttora in vigore, pur con gli ampliamenti previsti dapprima dalla legislazione di emergenza e, ora, dal decreto lavoro del governo Meloni (d.lgs. 48/2023) che, sostanzialmente, almeno sino a tutto il 2025, prevede la possibilità di proroga, di fatto acausale, dei contratti nei tempi previsti dalla contrattazione collettiva del settore, con tutti i rischi che ne possono conseguire, tra contratti di prossimità (GALLEANO, Questioni in tema di validità del contratto di prossimità ex art. 8 D.L. n. 138/2011, in LPO, n. 11-12/2019) e sindacati di comodo (CASSANO, Confermata l’antisindacalità dell’imposizione da parte di Deliveroo del contratto collettivo Assodelivery-UGL, in Labor, 3.3.2023).

2. Le sentenze del Tribunale di Reggio Emilia

La prima, la n. 44 del 6.4.2024 (Giudice estensore Dott.ssa Silvia Cavallari) riguarda il caso di un lavoratore impiegato come somministrato presso un’azienda metalmeccanica con mansioni varie, di natura esecutiva, nel periodo dal 2.7.2018 al 31.12.2022, il quale, esponendo di avere operato presso l’utilizzatore per 56 mesi consecutivi e, dunque, per un periodo maggiore di quello di 36 mesi, ordinariamente considerato dalla Cassazione quale parametro della durata massima per i rapporti di lavoro precario chiedeva la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore e, in subordine il risarcimento del danno.

Il datore di lavoro, costituendosi, precisava che l’interessato aveva operato come somministrato a termine per i periodi dal 2.7.2018 e che, in data 1.7.2019, era stato assunto a tempo indeterminato dall’agenzia somministratrice. Evidenziava inoltre che Ccnl delle Agenzie di somministrazione (art. 21) prevede che siano esclusi dalla durata massima i contratti di somministrazione a tempo indeterminato. Tale circostanza viene valorizzata dal Tribunale ai fini della valutazione del caso specifico, che richiama in proposito il considerando n. 15 della Direttiva 2008/104, la quale, come si è visto, consente di derogare alle norme applicabili all’utilizzatore e dunque, lato sensu, anche alle conseguenze di un protratta utilizzazione del lavoratore.

Altresì, valorizza la speciale disciplina dell’emergenza pandemica e, in particolare, l’art. 8, co 1-bis, del D.L. 104/2020, dove si prevede che nell’ipotesi in cui il somministratore abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore, era possibile impiegarlo per periodi superiori ai 24 mesi allora previsti come massimo per il legittimo utilizzo. La proroga di tale termine sino al 30.6.2025 va inoltre valorizzata, ad avviso del giudice, unitamente alla previsione dell’art. 21 del ccnl agenzie interinali.

Il giudice, ricordato che la Corte di giustizia, nella sentenza JH ha chiarito che l’art. 5, par. 5 della direttiva 2008/104 non è norma di diretta applicazione e non dispone dunque un obbligo di disapplicare la normativa interna, richiama un recente arresto della Corte di cassazione (23531/2022) dove si esamina l’influenza delle sentenze della Corte di giustizia JH e Np che si sono citate, per sottolineare come, l’esame del caso specifico sottoposto al giudice, vada effettuato, tenendo conto «caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti», che riguardano non solo le esigenze del settore, come indicato nella direttiva, ma ricomprendono anche quelle generali del mercato e della situazione di emergenza che riguardi l’incolumità pubblica, come quella pandemica.

Alla luce di tali circostanze, in considerazione della natura a tempo indeterminato del rapporto che ha legato il lavoratore in causa con l’agenzia interinale e della disciplina emergenziale, il giudice ritiene nella specie legittimo l’utilizzo temporale del ricorrente presso l’utilizzatore e pertanto rigetta il ricorso.

Identica soluzione viene adottata nella seconda sentenza qui in commento, la n. 79 del 26.2 2024, resa da altro giudice del Tribunale di Reggio Emilia (Dott.ssa Maria Rita Serri).

In questo caso, il lavoratore riteneva che il suo impiego presso l’azienda utilizzatrice, protrattosi per due periodi, dal 20.1.2018 sino al 20.1.2020 e dal 21.1.2020 al 17.9.2021, fosse illegittimo e violativo della normativa unionale di cui alle sentenze JH e NP, chiedendo al giudice, anche in questo caso, la costituzione di un rapporto definitivo con l’utilizzatore e, comunque, il risarcimento del danno.

Il datore di lavoro si costituiva svolgendo diverse eccezioni. In primo luogo, la decadenza per mancata impugnazione del primo contratto, in secondo luogo che la domanda fosse rigettata per indeterminatezza del petitum e, infine, che l’eventuale risarcimento del danno fosse quantificato nella misura minima.

La prima eccezione veniva ritenuta infondata in forza dell’art. 39 del d.lgs. 81/2015 secondo il quale l’obbligo di impugnazione decorre per il somministrato «dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere le propria attività presso l’utilizzatore». Poiché, nel caso specifico, vi era stata continuità tra i due rapporti a termine, deve ritenersi che l’utilizzazione sia stata continua e che l’impugnazione è stata correttamente proposta alla cessazione del secondo contratto.

Neppure risulta fondata l’eccezione di nullità del ricorso, posto che, pur nella sua laconicità, l’esposizione dei fatti nell’atto introduttivo consentiva l’identificazione del fatto e del petitum.

Nel merito, il giudice osserva che il lavoratore aveva operato presso l’azienda utilizzatrice per un periodo complessivo minore di 44 mesi.

La norma di cui all’art. 31 del d.lgs. 81/2015, come poi modificata, prevede che «nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato l’utilizzatore può impiegare in missione, per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, per il quale l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato. La disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 30 giugno 2025». Inoltre, il Ccnl applicabile dall’azienda utilizzatrice prevede che vi è continuità del rapporto ove la durata della somministrazione superi i 44 mesi di impiego dell’interessato.

Dunque, sotto il profilo della normativa nazionale i contratti di somministrazione risultavano legittimi.

La questione viene poi affrontata dal punto di vista delle due recenti sentenze della Corte di giustizia ricordate, alla luce di quanto affermato dalla Cass. 27854/2022, della quale si riportano ampi passi motivazionali, dove si richiamano i principi ivi stabiliti in merito alla necessità di un controllo giudiziale sull’effettiva temporaneità dell’utilizzo del lavoratore.

All’esito, il giudice valorizza la congruità dell’attuale normativa nazionale, che fissa un termine massimo di durata con riferimento alle intese di cui alla contrattazione collettiva, che non si presenta violativa del generale limite dei 36 mesi indicato dalla giurisprudenza della Cassazione come termine massimo per l’individuazione dell’abuso, tendo anche conto dell’assunzione a tempo indeterminato comunicata al datore di lavoro dell’agenzia interinale, fattore, come si è visto, valorizzato dal 15° considerando della direttiva (ma nella ricostruzione del fatto processuale della sentenza, non si trova invero traccia di questa circostanza, forse per dimenticanza del redattore).

Dalla laconicità dell’esposizione di fatto contenuta nel ricorso, non sono poi emerse, ad avviso del giudice, altre circostanze che potessero evidenziare «una frode alla legge o comunque un’elusione della direttiva».

3. Conclusioni

Come si è visto, la disciplina unionale e anche nazionale in tema di somministrazione presenta aspetti particolari in ragione dei compositi interessi che si incentrano sull’istituto, in concreto caratterizzato dai molteplici obiettivi che importano la mediazione tra le necessità occupazionali delle aziende e la tutela dei diritti dei lavoratori.

Le criticità si incentrano soprattutto nella durata della somministrazione a termine, in origine concettualmente e di fatto utilizzata per reperire in via transitoria professionalità specifiche, normalmente non presenti nelle aziende o per affrontare situazioni del tutto imprevedibili legate alle necessità produttive (si pensi solo alle esigenze imposte dall’evoluzione informatica o allo svolgimento temporaneo di mansioni caratterizzate dalla ricorrenza di una specifica professionalità).

Via via, però, l’utilizzo dello strumento si è ampliato ricomprendendo lo svolgimento di attività ordinarie delle strutture aziendali, che per non pochi motivi ritengono più conveniente l’utilizzo, spesso ordinario, di personale non stabile in azienda che consenta di adattarsi in tempo reale a possibili variazioni dell’attività o a necessità non rientranti nell’ordinaria attività, anche attraverso l’utilizzo di lavoratori la cui precarietà dell’impiego ne rende più agevole la gestione (insomma: contratti a termine nascosti dalla trilateralità del rapporto di somministrazione).

L’utilizzo di lavoratori somministrati è poi particolarmente frequente in caso di appalti e, soprattutto, di subappalti, dove le imprese aggiudicatarie hanno la necessità di variazioni improvvise di personale, senza il rischio di rimanere ingabbiate da dipendenti assunti in pianta stabile, con conseguenze negative, non solo di natura retributiva ma spesso anche in tema di sicurezza, come si legge giornalmente sui mezzi informazione.

È anche vero che la somministrazione offre spesso possibilità di entrata nel mondo produttivo a molti lavoratori, svolgendo le agenzie interinali un’attività che avrebbe dovuto essere in origine gestita dagli organismi pubblici: un classico esempio di fallimento dello stato sociale.

La giurisprudenza dei giudici del lavoro si è mostrata sempre attenta a sanzionare gli abusi dello strumento contrattuale della somministrazione e la Corte di giustizia ha recentemente fornito delle chiavi di lettura che agevolano non poco i giudici italiani nella valutazione del rispetto di legalità nel settore.

Le sentenze in commento paiono avere tenuto conto di questo quadro complessivo, anche se occorre valutare con attenzione il concreto svolgersi delle attività portate all’attenzione del giudice per farsi un’idea chiara dell’attività che è stata effettivamente svolta caso per caso (v, ad esempio, GALLEANO, Tribunale Teramo, sentenza n. 71/2023: come si decide una causa sulla somministrazione di lavoro applicando correttamente la normativa europea, in Labor, 22.5.2023), aspetto non affrontato nei casi descritti, probabilmente perché non dedotto dei ricorsi introduttivi.

Sergio Galleano, avvocato in Milano e Roma

Visualizza i documenti: Trib. Reggio Emilia, 26 febbraio 2024, n. 79; Trib. Reggio Emilia, 6 aprile 2024, n. 44

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