Il maggior costo del trasferimento non giustifica la limitazione della platea dei lavoratori in esubero
Se i lavoratori dichiarati in esubero nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo possono essere mantenuti in servizio attraverso il trasferimento in altre unità produttive, il fatto che il trasferimento di per sé possa comportare un “aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo” non assume rilievo al fine di escludere la comparazione di detti lavoratori “con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale”.
Con l’ordinanza n.1972 del 18 gennaio 2024 la Corte di Cassazione torna su un tema, la corretta individuazione della platea dei lavoratori in esubero nell’ambito di una procedura di licenziamento, che ha dato origine a grandi criticità sotto il profilo applicativo (negli stessi termini v. la pronuncia gemella n. 1803 del 17 gennaio 2024).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di L’Aquila aveva confermato la sentenza del Tribunale di primo grado, ribandendo l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore ricorrente “in considerazione della immotivata limitazione della platea dei dipendenti alla sede aziendale di L’Aquila, a fronte di una motivazione del tutto standardizzata della comunicazione di avvio…incentrata esclusivamente sulla dislocazione geografica del personale, essendo, invece, emerso – dal quadro istruttorio e testimoniale acquisito – che presso la sede di L’Aquila erano presenti professionalità del tutto comparabili a quelle presenti nelle altre sedi della società e, in particolare, che il patrimonio professionale dei lavoratori licenziati era utilizzabile presso le altre sedi e che il passaggio da un settore produttivo (telecomunicazioni) ad un altro (spazio, difesa, automotive, ferroviario) non richiedeva un’attività formativa particolarmente onerosa e complessa”.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla datrice di lavoro ribadendo, anzitutto, il principio – già sancito, da Cass. n. 1245/2022 e Cass. n. 410/2023 – in base al quale è obbligo del datore di lavoro individuare i lavoratori in esubero comparando tra loro i lavoratori con equivalente professionalità – secondo il criterio della c.d. “fungibilità” – addetti alle diverse sedi produttive e non solo a quella soppressa non potendo nemmeno escludere la possibilità di trasferire i lavoratori in esubero in altre unità produttive anche se tale trasferimento può comportare un aggravio di costi e modifiche dell’assetto organizzativo “rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore […] preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro”.
La Corte, con l’occasione, richiama anche dei principi applicabili “a monte”: quello per cui la platea dei lavoratori in esubero può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto, settore o sede solo in presenza di esigenze tecnico-produttive; quello secondo cui queste ultime devono essere coerenti con le indicazioni contenute nella lettera di avvio della procedura nonché quello per cui è onere del datore di lavoro provare sia il fatto che giustifica il più ristretto ambito di scelta (cfr. Cass. n. 9711/2011) sia le ragioni per cui non è possibile ovviare ai licenziamenti mediante trasferimento ad altri reparti, settori o sedi. Non solo, la Corte ricorda anche che le indicazioni in merito alla limitazione della platea devono essere adeguatamente fornite in sede di lettera di avvio in modo da consentire alle Organizzazioni Sindacali di vagliare la “effettiva necessità” dei licenziamenti e il nesso di causalità fra quest’ultimi e le ragioni indicate nella lettera di avvio (cfr. Cass. n. 4678/2015).
In applicazione dei principi richiamati, la Corte ha quindi rilevato l’inadeguatezza delle ragioni tecnico-produttive esposte nella lettera di avvio della procedura alla base della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare avendo la società datrice di lavoro omesso di comparare detti lavoratori con quelli con professionalità “fungibili” appartenenti ad altre sedi non interessate dall’esubero che attraverso “un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job” avrebbero potuto occupare altre posizioni, in altre sedi, mediante trasferimento.
La decisione della Corte di Cassazione, oltre a richiamare con notevole chiarezza i principi rilevanti rispetto al tema della individuazione dei lavoratori interessati alla riduzione di personale, ha il pregio, come l’analoga sentenza n. 1803 del 17.1.2024, di evidenziare tutta la complessità dell’operazione di limitazione della platea dei lavoratori in esubero e che passa dalla corretta definizione delle ragioni tecnico-produttive alla base della limitazione, alla loro coerente ed esaustiva indicazione nella lettera di avvio della procedura sino alla approfondita valutazione della “fungibilità” dei lavoratori e della possibilità di un utile reimpiego in altre posizioni anche mediante trasferimento di sede ovvero mediante un re-skilling, se non “particolarmente oneroso e complesso”: onerosità e complessità da valutare caso per caso e non invocabili nel caso in cui sia necessario “un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job”. Cosa può intendersi per “normale periodo di formazione” resta però ambiguo e di difficile interpretazione.
Una volta definiti gli ambiti di comparazione e risolta la questione della “fungibilità”, del trasferimento, dell’eventuale formazione e dei relativi costi, toccherà poi all’applicazione dei criteri di scelta ex art. 5, L. n. 223/1991. E tutto ciò dovrà avvenire in sede di esame congiunto con le Organizzazioni Sindacali o ad esito dello stesso. Un percorso certamente accidentato, ad elevato rischio di contenzioso.
Giorgio Giannini, avvocato in Milano
Visualizza il documento: Cass., ordinanza 18 gennaio 2024, n. 1972
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