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Il criterio dell’esperienza di servizio tra pro-rata temporis e discriminazione indiretta
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, nella sentenza del 30 aprile 2024 n. 1314, qui segnalata, affronta la questione se, nell’ambito di un concorso pubblico, l’attribuzione di un punteggio differente ai lavoratori assunti a tempo parziale costituisca o meno discriminazione indiretta, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198.
Come noto, la disposizione, il criterio o la prassi, apparentemente neutri, che in concreto pongano i lavoratori di un certo sesso in una situazione particolarmente svantaggiosa rispetto ai lavoratori del sesso opposto, costituiscono una discriminazione indiretta.
La definizione di discriminazione è attualmente rinvenibile all’art. 25 del Codice delle pari opportunità, il quale è stato recentemente novellato dalla l. 5 novembre 2021 n. 162, che ha introdotto il comma 2-bis, in cui vengono indicati, in maniera non tassativa, alcuni fattori di rischio.
L’art. 40 del d.lgs. 198/2006 prevede una attenuazione dell’onere della prova in capo al ricorrente (Cass., 15 luglio 2021, n. 20253), qualora vengano forniti elementi di fatto, anche desunti da dati statistici, in termini precisi e concordanti, idonei a fondare la presunzione di condotte discriminatorie.
Nel caso di specie, secondo la ricorrente, la discriminazione sarebbe dimostrata sia dal dato statistico, in quanto la riproporzione del punteggio ha posto in svantaggio il 45,9% delle dipendenti donne rispetto all’11,49% dei dipendenti uomini, sia dalla massima di esperienza che la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale sia di sesso femminile.
Il Giudice, richiamando sia la giurisprudenza della Corte di Giustizia (C. giust. 3 ottobre 2019, causa C-223/2019, YS) sia la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., 28 marzo 2022, n. 9870), chiarisce il metodo di accertamento della discriminazione indiretta attraverso l’utilizzo di dati statistici. In particolare devono prendersi in considerazione tutti i lavoratori destinatari della disposizione in questione e successivamente si devono confrontare le proporzioni di lavoratori colpiti e non dalla supposta disparità di trattamento sia tra i lavoratori di sesso maschile che tra quelli di sesso femminile.
Il Collegio giudicante ha inoltre chiarito che sia possibile che la discriminazione indiretta pregiudichi diversamente i soggetti che la subiscono o che addirittura alcuni individui appartenenti alla categoria discriminata non subiscano alcun effetto o persino ne traggano un beneficio.
Quello dell’orario di servizio prestato è stato ritenuto dal Giudice un criterio apparentemente neutro, capace però, sul piano degli effetti nel caso concreto, di pregiudicare maggiormente le lavoratrici donne rispetto ai lavoratori uomini.
L’esperienza di servizio è stata più volte (Cass., 1° giugno 2023, n. 15540 e Cass., 29 luglio 2021, n. 21801) oggetto di un delicato bilanciamento con il principio del pro rata temporis, che trova fonte, rispettivamente, nel quadro normativo eurocomunitario e nazionale, nella Dir. 97/81/CE, alla clausola 4, e nel d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81, agli artt. 7 e 9.
La Corte di Cassazione ha affermato che il criterio del riproprorzionamento del lavoro svolto a tempo parziale non è di per sé illegittimo. Nella stessa sentenza si chiarisce che, nell’ambito del giudizio di adeguatezza e necessità dei mezzi impiegati, la valutazione dell’esistenza del nesso tra esperienza acquisita e il numero di ore svolte debba venire compiuta facendo riferimento al caso concreto.
Si argomenta inoltre, conformemente con la recente giurisprudenza in materia, che il concetto di esperienza di servizio, inteso come insieme di conoscenze e competenze, sia un criterio di natura qualitativa, e non quantitativa, come si può evincere dalle modalità di accertamento in concreto della esperienza di servizio stesso e dal fatto che l’unità di misura utilizzata in tale valutazione sia l’anno, e non invece il dato orario (App. Napoli, 27 aprile 2020, n. 1266).
Perciò, come chiarito anche dalla recentissima giurisprudenza di legittimità (Cass., 19 febbraio 2024, n. 4313), la riduzione dell’orario di lavoro dovuta al part time non è automaticamente connessa alla anzianità di servizio da considerare ai fini delle progressioni economiche.
La sentenza in commento (allo stato non impugnata, a quanto consta) si inserisce nel recente orientamento giurisprudenziale che più volte ha ritenuto costituire una discriminazione indiretta l’utilizzo del criterio dell’esperienza di servizio nell’ambito delle progressioni verticali.
Pietro Mazzon, studente nell’ Università degli Studi di Padova – Facoltà di giurisprudenza
Visualizza il documento: TAR Lombardia, sez. IIIª, 30 aprile 2024, n. 1314
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