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By Rivista Labor – Pacini Giuridica · 25 May 2024

Aggiornamenti, Contratto di lavoro

I benefit concessi al lavoratore dipendente costituiscono reddito di lavoro in assenza di un (prevalente o esclusivo) interesse datoriale

1. Premessa: i fatti oggetto della risposta ad interpello in rassegna

La risposta ad interpello dell’11 aprile 2024, n. 89, riguarda il corretto trattamento fiscale da riservare ai benefit concessi dal datore di lavoro al lavoratore allorquando siano parte integrante di una precipua strategia aziendale funzionale a curare l’interesse del datore del lavoro, oltre che a soddisfazione del lavoratore che ne beneficia.

La società istante, parte di un gruppo quotato presso il mercato statunitense, opera nel settore della produzione e della commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di caffè, the e relativi prodotti derivanti, affini e complementari, nonché di prodotti alimentari e bevande in genere.

Al fine di garantire la formazione di tutti i dipendenti in linea con il raggiungimento degli obiettivi aziendali, la società si è dotata di un documento che, pur non avendo valore contrattuale per essere distinto dal contratto lavoro, contiene le linee guida, gli standard qualitativi esigibili e i benefit per i lavoratori.

La categoria dei benefit è alquanto eterogenea e comprende dalla consumazione di una bevanda, diversa da quelle alcoliche, gratuita al giorno durante la pausa al diritto di ricevere una volta al mese una confezione di caffè in omaggio. La società ha, inoltre, intenzione di offrire ai dipendenti, in via del tutto occasionale, dei prodotti di merchandising (e.g., tazze, barattoli, grembiuli e spillette con il logo aziendale) affinché i dipendenti diffondano l’immagine aziendale al di fuori della caffetteria con finalità di business, marketing e promozione dell’azienda.

Sebbene la società abbia determinato il valore dei beni ceduti ai dipendenti, ai sensi degli artt. 9 e 51, commi 1 e 3, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), e tracciato quanto di pertinenza di ogni singolo dipendente, attraverso l’utilizzo di una card, la società medesima fa, altresì, presente che la concessione dei benefit sembra essere più parte integrante della propria strategia commerciale che non un vantaggio offerto ai singoli dipendenti, tra l’altro, anche per il fatto che il benefit va fruito in precisi momenti temporali (e.g., mese o giorno) con il divieto di qualsivoglia rivendita a terzi.

La maggior parte dei dipendenti si trova, infatti a stretto contatto con la clientela o con la produzione del caffè che avviene all’interno degli stessi locali commerciali ed a vista da parte della clientela, incentivando, in tal modo, l’offerta dei prodotti aziendali.

2. Il quadro normativo di riferimento

L’art. 51, comma 1, del TUIR prevede che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Questa disposizione introduce il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, in forza del quale deve essere assoggettato a tassazione tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, salvo disposto diversamente dal legislatore fiscale (sul tema, si veda, senza alcuna pretesa di completezza, Uricchio, Motivazione dell’accertamento ed onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, in Rass. trib., 2008, I, p. 210 ss.; Marianetti, Il tampone pagato dal datore di lavoro all’interno del Welfare aziendale?, in Fisco, 2021, XXXXIV, p. 4215 ss.; Id., Non tassabile il rimborso chilometrico corrisposto ai rider, in Fisco, 2023, XIX, p. 1843 ss.; Nicolosi, Remunerazioni dei manager nel management buy out, in Fisco, 2023, VIII, p. 723 ss.).

La riconducibilità causale della somma o valore al rapporto di lavoro determina la rilevanza dell’emolumento reddituale ai fini del concorso al reddito di lavoro dipendente del lavoratore (cfr. Stancati, Demansionamento del lavoratore e imponibilità del ristoro del danno, in Corr. trib., 2023, X, p. 825); d’altronde, è impossibile immaginare delle liberalità da parte del datore di lavoro in favore del lavoratore che non siano ricondotte al rapporto di lavoro (cfr. D’Angelo, Il nuovo regime fiscale della concessione in godimento di beni di impresa a soci e familiari, in Rass. trib., 2013, IV, p. 769 ss.).

L’art. 51, comma 1, del TUIR presenta una locuzione particolarmente ampia e idonea a ricomprendere, oltre alla retribuzione corrisposta in denaro, anche i “vantaggi economici” potenzialmente enucleabili che il lavoratore subordinato può conseguire ad integrazione della stessa. Tali vantaggi, invero, possono tradursi in compensi in natura quali opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro.

L’art. 51, comma 3, del TUIR stabilisce che, ai fini della determinazione in denaro dei valori in genere riconosciuti e percepiti dal lavoratore si applica l’art. 9 del TUIR in materia di determinazione del valore normale dei beni e dei servizi. Il valore normale dei beni in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista.

Tuttavia, non concorre alla formazione del reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, nel periodo di imposta, complessivamente di importo non superiore ad Euro 258,23.

L’art. 1, comma 16, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (c.d. “Legge di Bilancio 2024”), ha stabilito che, limitatamente al periodo di imposta 2024, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di Euro 1.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Tale limite è elevato ad Euro 2.000 per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 12, comma 2, del TUIR.

Vale ricordare che per “valore normale”, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del TUIR, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi (in argomento, Lancia, Il transfer pricing cd. “interno” tra “valore normale” e antieconomicità dell’operazione, in Nov. fisc., 2024, II, pp. 97 ss.). Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.

3. La prassi erariale esistente in materia

L’Amministrazione finanziaria ha precisato che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale solo se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente (anche nel caso dei beni prodotti dall’azienda e ceduti gratuitamente al dipendente); di converso, se per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione si individua sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio (cfr. Ministero delle Finanze, circolare 23 dicembre 1997, n. 326, p. 21).

L’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto rilevanti ai fini del concorso alla formazione del reddito imponibile del dipendente le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore (e.g., gli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale) e le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione 9 settembre 2003, n. 178/E, p. 2 ss.).

Qualora un’impresa offra ai propri dipendenti la possibilità di acquistare autovetture di sua produzione ad un prezzo di favore rispetto a quello di mercato, abbinata all’assegnazione gratuita di un premio (e.g., televisore o lettore dvd) non sussiste alcuno “sconto in denaro” fiscalmente rilevante se il prezzo pagato dal dipendente per l’acquisto dell’autovettura risulta superiore rispetto al prezzo medio praticato al grossista; in tale caso, è solo il bene offerto in omaggio a configurarsi quale reddito per il dipendente che acquista l’autovettura (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione 29 ottobre 2003, n. 202/E, p. 2). Pertanto, il valore del premio assegnato concorre in qualità di bene in natura, ai sensi dell’art. 48 del TUIR, a formare il reddito di lavoro dipendente e deve essere assoggettato a ritenuta alla fonte, ai sensi dell’art. 23 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.

Nel caso in cui il datore di lavoro commercializza e vende ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata alla luce del principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, di cui all’art. 51, comma 1, del TUIR (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione 29 maggio 2009, n. 137/E, p. 3).

Ne emerge che, in generale, i beni assegnati ai dipendenti costituiscono reddito di lavoro dipendente e solo nell’ipotesi in cui il dipendente abbia un obbligo contrattuale di utilizzo del bene e successiva restituzione dello stesso, si può considerare prevalente l’interesse del datore di lavoro e, in ragione di ciò, escludere il valore dei suddetti beni dalla tassazione in capo al dipendente (cfr. Agenzia delle Entrate, circolare 20 dicembre 2013, n. 37/E, p. 10).

4. La soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate

Con la risposta ad interpello n. 89 del 2024, l’Agenzia delle Entrate è tornata a pronunciarsi sul regime fiscale applicabile ai benefit concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti.

Nella fattispecie oggetto della risposta ad interpello, la società (datore di lavoro) rende periodicamente ai propri dipendenti, a prescindere dalle vendite effettuate e dalla prestazione lavorativa svolta, dei benefit da consumare durante la pausa al lavoro al fine di diffondere la conoscenza approfondita dei prodotti e la capacità dei dipendenti di trasmettere l’eccellenza degli stessi alla clientela, nonché sta valutando di offrire prodotti di merchandising.

D’altra parte, i dipendenti potrebbero utilizzare i benefit ovvero, al contrario, decidere di non fruirne, stante l’assenza di obblighi contrattuali specifici.

Tuttavia, atteso che i benefit soddisfano un’esigenza del lavoratore, ancorché possano perfino assolvere ad utilità aziendale, non possono considerarsi erogati nell’esclusivo interesse del datore di lavoro. Pertanto, qualora il valore dei beni assegnati ai dipendenti superi il limite previsto dall’art. 51, comma 3, del TUIR e successive integrazioni, lo stesso costituisce reddito di lavoro dipendente che concorre alla formazione della base imponibile del lavoratore.

5. Conclusioni

La soluzione fornita dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 89 del 2024 sembra essere in linea con la normativa vigente, oltre che con la consolidata prassi erariale.

Pur essendo suggestiva la ricostruzione della società datrice di lavoro, in base alla quale, nel caso de quo, sarebbe sussistente un prevalente interesse datoriale, il tenore dell’art. 51, comma 1, del TUIR non lascia adito a dubbi. Tale norma presenta, invero, una locuzione particolarmente ampia tanto da ricomprendere “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, che costituiscono reddito di lavoro dipendente.

Qualora ricorrano tali condizioni, gli emolumenti reddituali hanno natura di reddito di lavoro dipendente e sono imponibili, salvo il valore dei benefit rientri nella soglia di cui all’art. 51, comma 3, del TUIR ovvero nella più alta soglia fissata, per il solo periodo di imposta 2024, dall’art. 1, comma 16, della Legge di Bilancio 2024.

Come visto, la prassi erariale mostra un trend che vede con favore la sussistenza dell’interesse del datore di lavoro nell’erogazione dei benefit, che è idonea a determinare la non imponibilità dei benefit stessi in capo al lavoratore. Si tratta di una prassi erariale, però, alquanto circoscritta e, per lo più, focalizzata su obblighi contrattuali che, in un certo senso, impongono al lavoratore di utilizzare determinati beni in natura ai fini dell’espletamento della prestazione lavorativa.

Si pensi alla citata circolare n. 37/E del 2013, ove l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti che, sebbene riguardanti i calciatori professionisti, possono, nondimeno, assumere una valenza di carattere generale:

(i) in linea di principio, i valori corrispondenti ai beni assegnati ai lavoratori costituiscono reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del TUIR;

(ii) se il lavoratore ha un obbligo contrattuale di utilizzare determinati beni, ricevuti in esecuzione del contratto di lavoro, e sussiste un obbligo di restituzione dei beni e la previsione di una penale in caso di inadempimento, si ritiene prevalente l’interesse del datore di lavoro;

(iii) il punto (ii) che precede non vale nelle diverse ipotesi in cui non sussiste un vero e proprio obbligo di utilizzo ovvero l’obbligo di utilizzo è limitato solo a determinate occasioni; e

(iv) costituisce, comunque, fringe benefit il bene non restituito al termine del contratto, da determinare in base al valore normale in quel momento.

Nel caso di specie, non sembra fosse ravvisabile un’erogazione di benefit ad esclusivo o prevalente interesse datoriale (con conseguente non imponibilità degli stessi in capo al lavoratore) per l’assenza di una previsione di natura contrattuale nonché di obblighi al lavoratore di utilizzare i benefit  ovvero di eventuali penalità in caso di inadempimento. Al contrario, il lavoratore avrebbe mantenuto ampi margini di discrezionalità in ordine all’utilizzo o meno dei benefit senza alcuna ripercussione sul piano lavorativo.

Ciò non significa che non vi fosse una qualche utilità aziendale nel perseguimento di un interesse del datore di lavoro, ma semplicemente che un tale interesse non ha assunto una intensità tale da far assurgere i benefit ad emolumenti in natura erogati al lavoratore in relazione alla precipua finalità di realizzare (esclusivamente o prevalentemente) la strategia aziendale (e, dunque, l’interesse datoriale stesso).

In altri termini, nella fattispecie de qua non è ravvisabile un prevalente o esclusivo interesse datoriale che, invece, allorché sussistente, avrebbe costituito ostacolo alla forza espansiva del principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, di cui all’art. 51, comma 1, del TUIR. Sicché, proprio per siffatta ragione, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto attratti i benefit nella sfera di operatività del principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, facendo, in ogni caso, salve le soglie di rilevanza fiscale previste dalla normativa tributaria.

Riccardo Lancia, avvocato in Roma e dottorando di ricerca in diritto tributario

Visualizza il documento: Agenzia delle entrate, risposta n. 89-2024 ad interpello 11 aprile 2024

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