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By Rivista Labor – Pacini Giuridica · 5 August 2024

Aggiornamenti, Contratto di lavoro, Diritto del lavoro comparato, internazionale e dell'Unione europea

È ancora ad alta quota l’operazione Alitalia-ITA, tra gravami e questioni di legittimità costituzionale

Due recenti pronunce, une delle quali di secondo grado, affrontano il noto caso Alitalia-ITA.

Si tratta della sentenza della Corte d’Appello di Milano 15 maggio 2024 n. 426 – Pres. Pattumelli, Rel. Casella – e dell’ordinanza di costituzionalità del Tribunale di Roma 18 giugno 2024 – est. Orru.

1. Il contesto della vicenda

La controversia riguarda il mancato passaggio di una parte dei lavoratori da Alitalia a ITA a seguito di un’operazione dagli articolati contorni giuridici.

La procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia SAI era stata avviata con Decreto del Ministero dello Sviluppo del 02/05/2017. Successivamente era stato adottato un programma volto alla cessione dei beni, ai sensi dell’art. 27, comma 2, lett. b bis, d.lgs. n. 270/1993 (“Prodi bis”).

La difficile ricerca di un acquirente aveva poi portato alla costituzione di una nuova società, Italia Trasporto Aereo S.p.A. (“ITA”), sottoposta a controllo pubblico (art. 79, comma 3, DL 18/2020), destinata a operare quale nuova compagnia di bandiera e alla quale cedere alcuni degli asset di Alitalia (l’”Operazione”).

La Decisione della Commissione europea del 10/09/2021 – emessa ai sensi dell’art. 79, comma 4 bis, DL 18/2020 – aveva dato una valutazione positiva del Piano Industriale correlato all’Operazione, con riferimento specificamente alla discontinuità delle due società, evidenziando che, ai fini degli aiuti di Stato in relazione ai quali Alitalia aveva delle pendenze con l’Unione, ITA sarebbe stata considerata una compagnia diversa da Alitalia, essendovi unadiscontinuità economica” tra i due soggetti (la “Decisione”).

Nell’ambito dell’Operazione avveniva quindi la cessione di alcuni beni da Alitalia a ITA, e segnatamente dell’intero asset cd. Aviation – vale a dire l’attività di trasporto aereo passeggeri – che senza soluzione di continuità veniva proseguita da ITA (la “Cessione”).

In questo ambito numerosi lavoratori non proseguivano l’attività con ITA; in particolare ITA assumeva solamente una parte dei lavoratori già addetti al settore Aviation.

Nel frattempo, proseguiva l’amministrazione straordinaria di Alitalia e ITA iniziava ad operare il 15/10/2021.

Il contenzioso che ne era sorto sull’applicabilità all’Operazione dell’art. 2112 c.c. aveva dato esiti difformi.

I passaggi determinanti e problematici nel contenzioso erano sostanzialmente tre:

(a) se la Cessione potesse essere inquadrata nella nozione di trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda), ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c. e della Direttiva 2001/23/CE, con le relative implicazioni in termini di prosecuzione dei rapporti di lavoro.

La giurisprudenza formatasi sul punto – a seguito di un esame degli asset passati e della relativa tempistica – è nel senso della sussistenza di un’operazione di trasferimenti di ramo d’azienda.

(b) se la Decisione (della Commissione europea del 10/09/2021) – che in riferimento agli aiuti di Stato, come si è visto, concludeva nel senso della discontinuità tra Alitalia e ITA – possa o meno avere un’incidenza qualificatoria dell’operazione in chiave di insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda ai fini giuslavoristici. Circostanza esclusa pressoché unanimemente dalle sentenze fino ad oggi emesse, che ne hanno riferito la rilevanza appunto solo all’ambito degli aiuti di Stato.

(c) e infine l’aspetto più delicato e complesso: se la circostanza che la Cessione fosse avvenuta nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria, atteso il contesto concorsuale sottoposto al controllo pubblico e la sua (affermata) finalità liquidatoria, la faccia rientrare nell’ambito di una deroga all’art. 2112 c.c.

In effetti l’art. 56, comma 3-bis della Prodi bis stabilisce che Le operazioni di cui ai commi 1 e 2 effettuate in attuazione dellarticolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dellazienda agli effetti previsti dallarticolo 2112 del codice civile.”

Il problema si pone in relazione alla reale sussistenza di una natura liquidatoria dell’amministrazione straordinaria Alitalia in riferimento al ramo Aviation.

Inoltre, vi è anche un altro aspetto non del tutto pacifico, ossia la questione della persistenza in vigore del menzionato comma 3 bis a seguito della novella (del 2009) dell’art. 47 comma 4 bis, L. 428/1990.

Secondo tale ultima norma infatti, “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, con finalità di salvaguardia delloccupazione, larticolo 2112 del codice civile, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dallaccordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui allarticolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende: (…) c) per le quali è stata disposta lamministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dellattività.”.

Due punti delicatissimi e molto complessi dalla cui soluzione – in definitiva – dipende tutta la vicenda.

Nel pieno del contenzioso era poi intervenuto una norma di interpretazione autentica –  della quale dirò più avanti – che attribuisce rilievo determinante alla Decisione (della Commissione europea del 10/09/2021).

Per una ricostruzione della vicenda, un esame dei primi orientamenti di merito e diversi riferimenti di dottrina, mi sia consentito rinviare a F. Capurro “L’operazione Alitalia-ITA: quando un vetro andava in pezzi ai ragazzi si “toglieva il pallone”. E quando a “giocare” sono gli adulti?” in Labor, www.rivistalabor.it, 20 Dicembre 2023.

2. La Corte d’Appello di Milano ritiene derogabile l’art. 2112 c.c. per la natura specifica della procedura

La Corte d’Appello di Milano conferma la sentenza di primo grado del Tribunale di Busto Arsizio che, applicando il principio della ragione più liquida, aveva ritenuto che, anche ipotizzando che gli assets Aviation fossero qualificati in termini di cessione di ramo di azienda (in tal senso sono tutte le pronunce emesse fino ad oggi sul caso ITA), l’art. 2112 c.c. non potrebbe comunque trovare applicazione, in forza delle deroghe prevista per le procedura di Amministrazione Straordinaria con finalità liquidatoria dall’art. 56, comma 3-bis della Prodi bis.

Viene osservato che l’amministrazione straordinaria ha natura non liquidatoria solo se la gestione dell’impresa dichiarata insolvente tende al risanamento e, quindi, a soddisfare i creditori mediante l’esercizio di un’attività che, se pur condotta dalla gestione commissariale, tende al ripristino dell’equilibrio economico dell’ impresa insolvente. Ma nel caso di specie sarebbe invece evidente che l’amministratore straordinario, nell’ambito di una complessiva dismissione del patrimonio aziendale, non abbia inteso continuare, direttamente o anche solo indirettamente, l’esercizio dell’attività.

In particolare, Alitalia era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del DL 347/2003, convertito con L. 39/2004 (“Marzano”) in quanto rientrante nelle “imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale”.

La Corte d’Appello rileva che, ai sensi dell’art. 8 Marzano, alla procedura di amministrazione straordinaria dal medesimo disciplinate, si applicano, per quanto non disposto diversamente dal decreto stesso, le norme di cui al d.lgs. 270/1999 (Prodi-bis) in quanto compatibili.

A sua volta l’art. 5 comma 2 ter del Prodi bis dispone che il Commissario ed il cessionario possono concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami di azienda, anche non preesistenti, con individuazione quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario.

Il successivo art. 56 comma 3 bis – che, come si è sopra detto, è la norma centrale del contenzioso – prevede che “Le operazioni di cui ai commi 1 e 2 effettuate in attuazione dell’art. 27, comma 2 lettera a) e b-bis) in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’art. 2112 del codice civile”.

Spiega la Corte che l’amministrazione straordinaria, quando viene adottato un programma di cessione, deve essere considerata a tutti gli effetti una procedura d’insolvenza aperta in vista della liquidazione dei beni del debitore e svolta sotto il controllo dell’autorità pubblica (così come previsto dalla Direttiva).

L’avvio della procedura è possibile in quanto venga autorizzato l’esercizio d’ impresa. La legge, infatti, non contempla alcuna forma di programma adottabile per l’impresa insolvente, che non preveda l’esercizio d’impresa per almeno un anno (per i programmi di cessione) e due anni per i programmi di ristrutturazione.

In conclusione, l’esercizio d’impresa rappresenta la caratteristica tipica dell’amministrazione straordinaria, ed assume di per sé una connotazione neutra essendo inidonea ad escludere la natura liquidatoria, tenuto conto che quest’ultima finalità si manifesta nell’affidamento ad altri della continuazione dell’impresa insolvente a seguito del trasferimento degli assets disposto dal programma di cessione.

La Corte prende poi posizione sulla tesi della difesa dei lavoratori per la quale al trasferimento del ramo d’azienda oggetto di causa si dovrebbe applicare in via esclusiva il novellato art. 47, comma 4bis, L. 428/1990 che, in quanto legge successiva (nel testo novellato), avrebbe abrogato tacitamente tutte le norme incompatibili contenute nel Prodi bis, compreso l’art. 56, comma 3 bis.

Questa tesi mirava ovviamente a sostenere che non sarebbe comunque possibile l’esclusione delle tutele dell’art. 2112 c.c. in quanto lil menzionato art. 47, comma 4bis, L. 428/1990 ne prevede l’applicazione, anche nel caso di amministrazione straordinaria con continuazione o mancata cessazione dell’attività, benché nei termini e con le limitazioni previste da un eventuale accordo sindacale in sede di procedura di trasferimento d’azienda.

Rileva la Corte d’Appello che l’art. 56, comma 3 bis della Prodi bis è stato introdotto dall’art. 14, comma 5, DL 185/2008 quando l’art. 47 già condizionava la derogabilità dell’art. 2112 c.c. all’esistenza di un accordo sindacale nella ipotesi di amministrazione straordinaria in cui la continuazione dell’attività non fosse stata disposta o fosse cessata. Ciò nonostante, il legislatore del 2008 ha introdotto il citato comma 3 bis evidentemente come norma “speciale” volendo disporre che le operazioni di cessione d’azienda effettuate in attuazione dei programmi dell’art. 27, comma 2, lettere a) e b-bis), in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’art. 2112 del codice civile.

La novella dell’art. 47 L. 428/1990 (per mano dall’art. 19 quater DL 135/2009), che ha introdotto nel comma 4-bis il riferimento espresso al fatto che l’esclusione delle tutele dell’art. 2112 c.c. non fossero ammesse in caso di cessione d’azienda disposta dall’amministrazione straordinaria “in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ribadendo, quindi, una regola già vigente nell’ordinamento non sarebbe in grado di travolgere l’art. 56, comma 3 bis della Prodi-bis, non avendo contenuto innovativo.

Tale norma speciale risulta, peraltro, compatibile sia con la direttiva europea sia con le norme dettate dal medesimo art. 47. La Direttiva in particolare, nel delineare il discrimen tra l’esclusione e la derogabilità limitata delle tutele dei lavoratori in occasione dei trasferimenti d’azienda, non fa mai riferimento alla continuazione o alla cessazione dell’attività d’impresa, ma attribuisce decisiva importanza alla natura liquidatoria o conservativa della procedura concorsuale.

Conseguentemente, l’elemento decisivo per poter derogare alle garanzie dell’art. 2112 c.c. è solamente la natura liquidatoria della procedura senza che l’eventuale continuazione temporanea dell’attività possa escludere o far venir meno tale precipua finalità. Perciò l’art. 56, comma 3 bis risulta pienamente compatibile con la direttiva laddove riconosce la possibilità di derogare in blocco alle tutele dei lavoratori ex art. 2112 c.c. nei casi in cui la procedura di amministrazione straordinaria disponga la cessione in vista della liquidazione dei beni del cedente ovvero in attuazione dei piani di cessione previsti dall’art. 27, comma 2, lettere a) e b-bis).

Inoltre, l’art. 5, paragrafo 1 della direttiva comunitaria 23/2001 non condiziona l’esclusione delle tutele dei lavoratori alla preventiva stipulazione di un accordo sindacale, subordinando le deroghe – come visto – alla sola esistenza di una procedura concorsuale avente finalità liquidatoria.

3. Il Tribunale di Roma ritiene inderogabile nel caso di specie l’art. 2112 c.c. e rimette alla Consulta la questione di legittimità sulla norma di interpretazione autentica

Rileva il tribunale che nell’amministrazione straordinaria, l’effetto fondamentale della dichiarazione di insolvenza è rappresentato dall’apertura di una fase successiva, di natura diagnostica, subordinata alla verifica delle “concrete possibilità di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali”, vero e proprio giudizio prognostico sulle possibilità di sopravvivenza dell’impresa.

Il suo fondamento, a differenza di altre procedure concorsuali, è la finalità conservativa correlata alla continuazione dell’esercizio dell’impresa. In effetti la scelta del mantenimento del valore dell’organizzazione mediante la prosecuzione dell’attività d’impresa non appare perciò irragionevole né tale da distorcere gli equilibri del mercato anche nel caso di scelta del programma avente ad oggetto la cessione di beni o complessi aziendali.

Inoltre, la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ha mantenuto intatta nel tempo la sua finalità conservativa del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali, ma, contrariamente alle altre procedure concorsuali, il suo fine principale è quello di evitare la messa in liquidazione dell’impresa in considerazione dei notevoli interessi coinvolti, siano essi privati o pubblici.

L’art. 56, comma 3 bis della Prodi bis, non presenta alcuna incompatibilità con la disciplina di cui all’art. 47, comma 4 bis, L. 427/1990 se interpretato secondo i principi della giurisprudenza euro unitaria.

È infatti la finalità liquidatoria della procedura e non la continuità dell’impresa che pone il vero discrimine per il trasferimento dei lavoratori, così costituendo quindi il fulcro della disciplina prevista sia dall’art. 47 L.428/1990, sia dall’art. 56 comma 3-bis della Prodi bis.

Il Tribunale di Roma ritenere che proprio in virtù del fatto che dalla finalità liquidatoria o meno della procedura derivi la disapplicazione di garanzie importanti per il lavoratore, sia più necessario svolgere una valutazione in concreto circa l’effettiva sussistenza caso per caso di tale finalità, piuttosto che considerarla presente in virtù di un automatismo che la ricollega all’adozione dei programmi di cui all’art. 27, comma 2, lettere a) e b-bis).

Viene osservato che un argomento interpretativo sta nella  lettera dell’art. 56, comma 3-bis, il quale, ove richiama i programmi ex art. 27, comma 2, lettere a) e b-bis), per escludere in tal caso l’applicazione dell’art. 2112 c.c., circoscrive il richiamo precisando che deve trattarsi di programmi con finalità liquidatoria. Ove tale ultima finalità fosse da ritenersi immanente nei programmi richiamati, non sarebbe necessaria alcun’altra precisazione.

Nel caso di specie dall’esame degli atti emerge, secondo il giudice, che entrambi i Programmi (2018 e 2021) hanno optato per la cessione dapprima (nel 2018) di 3 rami aziendali e successivamente (nel 2021) di due rami aziendali (Handling e Manutenzione) e di un complesso di beni (Aviation).

Si tratta in sostanza delle medesime disposizioni che, secondo ITA, giustificherebbero una lettura in termini di finalità liquidatoria del Programma di cessione del 2021 ma che nel caso dei rami Handling e Manutenzione ha avuto una diversa applicazione.

In entrambi i casi alla cessione del ramo è stata applicata la disciplina di cui all’art. 2112 c.c. con evidente esclusione della finalità liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria.

Sembra pertanto al giudice alquanto contraddittorio ritenere che nell’ambito della cessione del ramo Aviation la procedura avesse finalità liquidatoria mentre per le cessioni dei rami Handling e Manutenzione la medesima procedura non avesse la stessa finalità. Del resto, viene rilevato che non vi è la prova che la procedura avesse come principale finalità quella di soddisfare la massa dei creditori che costituisce l’obiettivo principale di tutte le procedure liquidative.

Su questo ultimo punto il tribunale sviluppa un’analisi sulla nota questione del prezzo (un euro … “nummo uno”) e alla mancata cessione delle passività del perimetro Aviation.

Il Tribunale di Roma solleva poi la questione di legittimità costituzionale sulla norma di interpretazione autentica intervenuta a contenziosi ancora aperti.

In particolare, il DL 29 settembre 2023, n. 131, convertito con L. 27 novembre 2023 n. 169, all’art. 6 “Disposizioni di interpretazione autentica in materia di cessione di complessi aziendali da parte di aziende ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria” così stabilisce: “1. In coerenza con l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, l’articolo 56, comma 3-bis, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che si intendono in ogni caso operazioni effettuate in vista della liquidazione dei beni del cedente che non costituiscono trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile, le cessioni poste in essere in esecuzione del programma di cui all’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), del medesimo decreto legislativo, qualora siano effettuate sulla base di decisioni della Commissione europea che escludano la continuità economica fra cedente e cessionario.”

Nella nota del Consiglio dei Ministri n. 51 del 25 settembre 2023 che “Tenuto conto che è sorto un contrasto giurisprudenziale in merito al fatto che vi sia o meno una discontinuità aziendale tra Alitalia-Società Aerea Italiana e Ita-Italia Trasporto Aereo S.p.a., e considerato che tale incertezza è suscettibile di determinare riflessi negativi sia sui rapporti giuridici sia sulla finanza pubblica, si è ritenuto necessario approvare una norma interpretativa che, in coerenza con le decisioni della Commissione europea, esclude che nel passaggio da Alitalia a Ita vi sia continuità fra le due aziende”.

Le prime impressioni sono state che tale norma sia più che altro conseguita alle diverse decisioni che avevano ritenuto la Decisione (della Commissione europea del 10/09/2021) idonea a produrre effetti esclusivamente sul piano dei rimborsi di stato ma non sulla finalità liquidatoria dell’operazione e quindi dell’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c.

Avendo, come si è visto, il Tribunale di Roma ritenuto applicabile in astratto l’art. 2112 c.c., ha di conseguenza dovuto anche rilevare che in concreto tale applicazione risulta attualmente impedita dalla norma di interpretazione autentica.

Rileva però il Tribunale che tale disposizione presenta dubbi di legittimità costituzionale.

Occorre peraltro stabilire se – benché la norma si qualifichi di interpretazione autentica – essa debba considerarsi norma innovativa e, di conseguenza, debba trovare applicazione solo a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, lasciando impregiudicati i precedenti criteri di giudizio della fattispecie concreta rinvenibili nell’art. 2112 c.c.

Dubbi di legittimità costituzione sorgono inoltre sul fatto che la norma, sebbene formulata in termini astratti, è, in realtà, preordinata a condizionare, con l’efficacia propria delle disposizioni interpretative, l’esito dei giudizi ancora in corso. Sta di fatto che, al momento della sua emanazione, come si legge nella relazione tecnica di accompagnamento, l’intervento legislativo si colloca in un contesto caratterizzato da contrasti giurisprudenziali registratisi sul punto. Essa è di fatto intervenuta a superare un contrasto giurisprudenziale

Ricorda il Tribunale di Roma che la Corte Costituzionale ha più volte ribadito che  non può essere consentito di risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie, violando i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi. Così Cort. Cost 30 gennaio 2018 n. 12, punto 3.1, Cort. Cost. 09 maggio 2013 n. 85 punto 12.1 e Cort. Cost. 2 aprile 2009 n. 94, punto 7.6.

Allo stesso tempo e perciò il principio costituzionale della parità delle parti è violato quando il legislatore statale immette nell’ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco. Così Cort. Cost. 4 luglio 2014 n. 191, punto 4 e Cort. Cost. 12 luglio 2013 n. 186 punto 4.3.

In relazione alle leggi retroattive vi è corrispondenza tra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU.

Infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), chiamata a decidere se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il diritto dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che, in linea di principio, non sia precluso al potere legislativo regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore.

Essa ha però precisato che il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 CEDU ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia.

È stato precisato, inoltre, che l’esigenza della parità fra le parti implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte. Così per tutte Corte EDU 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47.

Sul punto è importante rilevare che la Corte EDU ha escluso che una misura di carattere finanziario possa integrare un motivo imperativo di interesse generale quando il suo impatto sia di scarsa entità. Così Corte EDU 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia, paragrafi 37 e 38.

E la retroattività deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata e che i limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei principi costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell’ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. Così Cort. Cost 12 luglio 2019 n. 174 punto 6.

Rileva il tribunale di Roma che, quanto agli elementi sintomatici di un uso distorto della funzione legislativa, si ha rilievo al metodo e alla tempistica dell’intervento legislativo, che si colloca durante un processo già radicato e a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica, come nel caso di specie.

Così, essendo evidente il sospetto di una concreta lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché delle disposizioni che assicurano a tutti l‘effettiva tutela giurisdizionale dei propri diritti, non è apparsa al Tribunale di Roma manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 6 DL 131/2022, in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione al parametro interposto di cui all’art. 6 della CEDU, nella parte in cui introduce nuovi limiti di applicabilità della disciplina di cui all’art. 2112 c.c.

Filippo Capurro, avvocato in Milano

Visualizza i documenti: App. Milano, 15 maggio 2024, n. 426; Trib. Roma, ordinanza interlocutoria 18 giugno 2024

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