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Corrispettivo del patto di non concorrenza versato in costanza di rapporto di lavoro: requisito di determinabilità e verifica (ex ante) di congruità

12 May 2025|

La problematica del corrispettivo del patto di non concorrenza ex art. 2125 cod. civ.

La Suprema Corte, con tre ordinanze di simile segno (Cass. 8 aprile 2025, n. 9256; Cass. 8 aprile 2025, n. 9258; Cass. 8 aprile 2025, n. 9263), torna ad occuparsi del patto di non concorrenza post contrattuale nel rapporto di lavoro.

Il dibattito di dottrina e giurisprudenza sulla disciplina del patto, stabilita dall’art. 2125 cod. civ., si concentra sulla identificazione di requisiti di validità del negozio (oggetto, tempo, luogo e corrispettivo) e sulla appropriata delimitazione di essi.

Più in particolare, questo contributo affronta la questione del corrispettivo.

La pratica evidenzia la diffusione di due modelli – qui rispettivamente indicati, solo per semplicità espositiva, “modello statico” e “modello dinamico” – esaminati partitamente.

Pagamento del corrispettivo: “modello statico” e “modello dinamico”

Nel “modello statico”, l’erogazione del corrispettivo del patto di non concorrenza è allocato interamente dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Il “modello statico” separa con chiarezza gli introiti del dipendente.

Questi, durante il rapporto di lavoro, percepisce il trattamento retributivo e, alla cessazione del rapporto di lavoro, percepisce un diverso trattamento, appunto a titolo di corrispettivo del patto di non concorrenza.

La separazione “vive” nella struttura che sovente caratterizza le clausole del patto di non concorrenza, laddove il corrispettivo (versato dopo la cessazione del rapporto di lavoro ed in linea con le tempistiche di esecuzione del patto) viene complessivamente determinato in una percentuale dell’ultima retribuzione fissa percepita dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro di riferimento.

Nel “modello dinamico”, invece, il corrispettivo del patto di non concorrenza viene versato in costanza del rapporto di lavoro.

Assistiamo a modalità disparate, quali, ad esempio, il versamento di un indennizzo mensile per tutta la durata del rapporto di lavoro; oppure, ad integrazione della modalità precedente, il versamento di un ulteriore (ed eventuale) importo fisso in occasione della cessazione del rapporto (in aggiunta alle rate mensili già percepite ove non capienti rispetto ad un minimo garantito); oppure ancora, quale ulteriore variante, il versamento mensile di un indennizzo in una predeterminata cornice temporale nel corso del rapporto di lavoro (quest’ultimo, per intenderci, è il modello affrontato dalle pronunce in commento, peraltro privo della previsione di un minimo garantito).

Mentre non si registrano questioni giurisprudenziali di rilievo in merito al “modello statico” (se non, su un piano generale, in punto di congruità del corrispettivo caso per caso accordato), le risposte che la giurisprudenza ha dato rispetto alla validità del “modello dinamico” sono mutate nel tempo, in taluni casi negando, in radice, la validità del modello stesso.

La tenuta del “modello dinamico” costituisce uno degli aspetti più delicati del contenzioso giuslavoristico, anche in relazione agli effetti pratici che una eventuale declaratoria di nullità del patto può determinare sulle sorti del corrispettivo versato in costanza di rapporto di lavoro.

In proposito, la giurisprudenza di merito ha ricordato che in questo scenario il corrispettivo versato in costanza di rapporto di lavoro (nell’ambito di un patto di non concorrenza, poi, dichiarato nullo) risulterebbe privo di causa, con conseguente (potenzialmente oneroso) obbligo restitutorio a carico del dipendente.

In questo senso è stato affermato che «Ai sensi dell’art. 2033 c.c. chiunque abbia eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato, pertanto ove venga dichiarato nullo … il contratto di non concorrenza, stipulato tra una società ed un suo dipendente, le somme versate a titolo di corrispettivo, se non si evidenzia un eventuale mutamento del titolo su cui si fondano, devono essere restituite» (App. Milano, sez. lav., 19 ottobre 2018, est. Locorotondo).

L’orientamento che nega la validità del modello dinamico

È esistita, ormai quindici anni or sono, una presa di posizione molto chiara della giurisprudenza di merito contraria tout court al modello dinamico.

Le decisioni ruotano sulla nozione civilistica di “oggetto” del contratto, che, ai sensi dell’art. 1346 cod. civ., «deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile».

Al dipendente deve essere sempre possibile effettuare (pena l’invalidità del patto) un preciso confronto tra “valori” (il cui bilanciamento è il cuore pulsante dell’art. 2125 cod. civ.): da un lato, il valore delle opportunità professionali precluse dal patto di non concorrenza e, dall’altro lato, l’ammontare del corrispettivo deputato a compensare le utilità “bloccate”.

Tale confronto ‒ afferma l’orientamento negatorio ‒ non sarebbe possibile nel modello dinamico, posto che l’entità del corrispettivo (appunto, indissolubilmente legato nel quantum all’effettiva durata del rapporto di lavoro, più o meno estesa) in nessun momento potrebbe essere “esattamente misurabile” dal dipendente.

In pratica, mentre un rapporto di lavoro di lunga durata consentirebbe l’accumulo di un complessivo importo di congruo ammontare, lo stesso risultato non sarebbe conseguibile nell’ambito di un rapporto di lavoro breve.

Sulla scorta di queste motivazioni è stato affermato che «viola il disposto dell’art. 2125 cod. civ. la previsione del pagamento di un corrispettivo mensile in costanza di rapporto di lavoro, in quanto la stessa rende “ex ante” indeterminabile il compenso, con conseguente alterazione della sinallagmaticità del patto» (Trib. Milano, sez. lav., 13 agosto 2007, in D&L, 2007, 4, 1124).

Poco tempo dopo, lo stesso foro rimarcherà che il modello dinamico – non solo è viziato da incertezza, ma – si presta a mescolare le “cause” degli introiti (la voce puramente retributiva e la voce remunerativa del patto di non concorrenza).

Non può, pertanto, ritenersi sostenibile la previsione di «un corrispettivo durante il rapporto di lavoro, in quanto la stessa, da un lato, introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un’inammissibile elemento di aleatorietà e, dall’altro, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore anziché compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto» (Trib. Milano, sez. lav., 4 marzo 2009, in D&L, 2009, 1, 183).

L’orientamento che ammette la validità del modello dinamico.

L’errore logico in cui cadono i sostenitori del solo modello statico – questo il fulcro della tesi a favore del modello dinamico – si commette allorché la “valutazione del corrispettivo” del patto di non concorrenza venga effettuata in connessione alla “durata del rapporto di lavoro”.

Il rapporto di lavoro (con particolare riferimento alla sua durata), invece, deve rimanere elemento estraneo alla valutazione del corrispettivo del patto, posto che la “causa” del rapporto di lavoro è e deve restare distinta dalla – quantunque occasione della – “causa” del patto di non concorrenza.

Stabilita questa cornice, lo scrutinio di validità del corrispettivo (in costanza di rapporto di lavoro) impone due distinte verifiche, ciascuna presidiata, in caso di esito negativo, da apposita e specifica sanzione di nullità.

1) Il primo piano di verifica attiene alla “determinabilità del corrispettivo” (ed ha come referente l’art. 1346 cod. civ.).

In questa fase occorre controllare se la clausola contrattuale regolatrice del corrispettivo fornisce tutti gli elementi necessari a calcolare, in qualsiasi momento del rapporto di lavoro e sin dal suo inizio, il corrispettivo stesso.

Pertanto, il corrispettivo versato in costanza del rapporto di lavoro (e sta qui il punto di disaccordo rispetto ai fautori della tesi contraria) non è di per sé stesso indeterminabile, posto che il valore della remunerazione del patto di non concorrenza ben potrebbe essere calcolato (specie se strutturato in percentuale sulla retribuzione mensile lorda) in base ad una istantanea operazione aritmetica.

Dimodoché, sulla scorta dell’art. 1346 cod. civ, «dire che un corrispettivo è variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro, non significa affatto che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, atteso che si ha determinabilità quando sono indicati, anche per relationem, i criteri in base ai quali si fissa la prestazione, così sottratta al mero arbitrio» (Cass. 1° marzo 2021, n. 5540. Conf. Cass. 11 novembre 2022, n. 33424).

In termini non dissimili si è espressa la giurisprudenza di merito, statuendo tranchant come «l’aleatorietà dell’importo complessivo del corrispettivo per essere connesso alla durata del rapporto di lavoro non può determinare la nullità del patto, posto che l’art. 2125 cod. civ. non attribuisce alcun rilievo a tale elemento» (Trib. Roma, sez. lav., 2 ottobre 2020. Conf. Trib. Milano, sez. lav., 30 luglio 2021, est. Capelli).

2) Il secondo piano di verifica attiene alla “congruità del corrispettivo” (ed ha come referente l’art. 2125 cod. civ.).

Superata la prima fase, andrà controllata l’adeguatezza dell’importo (aritmeticamente determinato/determinabile) rispetto alla entità della compressione che il patto produce sulla libertà di circolazione del dipendente.

In altri termini, occorrerà interrogarsi (in un contesto per definizione ad alto tasso di incertezza e, dunque, discrezionalità in giudizio) se il valore generato dall’operazione aritmetica appaia coerente rispetto alla limitazione derivante dal “concorso” dei noti requisiti (oggetto, luogo, durata).

In ossequio all’art. 2125 cod. civ. «l’espressa previsione di nullità va riferita alla pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato» (Cass. 1° marzo 2021, n. 5540).

In sintesi, secondo l’orientamento a favore del modello dinamico, i sostenitori del solo modello statico creano una inammissibile commistione tra il piano della determinabilità del corrispettivo e, in ragione della incerta durata del rapporto di lavoro (collegamento che il modello dinamico bandisce dal ragionamento), il piano della congruità del corrispettivo.

Nel sostenere la validità del modello dinamico, la Suprema Corte qui in commento afferma che «i due vizi astrattamente configurabili operano, …, su piani diversi: la nullità per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo spettante al lavoratore, quale vizio integrato dal difetto del requisito prescritto in generale dall’art. 1346 cod.civ. per ogni contratto; la nullità per violazione dell’art. 2125 cod. civ. per mancata pattuizione di un corrispettivo ovvero, per ipotesi equiparata dalla giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui esso sia simbolico o manifestamente sproporzionato» (Cass. 8 aprile 2025, n. 9256).

Conclusioni

Il patto di non concorrenza esaminato dalle ordinanze in commento prevede il pagamento di un corrispettivo (in costanza di rapporto di lavoro) in una serie di tranche distribuite in un arco triennale a decorrere dalla data di stipulazione del patto (e senza la previsione di un ipotetico minimo garantito in caso di cessazione del rapporto in data antecedente al periodo triennale).

– Nelle decisioni viene innanzitutto avallata, sul piano della determinabilità, la struttura della clausola anche eventualmente priva di ipotetici ristori economici attivabili in caso di cessazione ante tempus

In questo senso, Cass. n. 9256/2025 rigetta il ragionamento della Corte di Appello per cui «il patto …, per assicurare la congruità del compenso, avrebbe dovuto prevedere una specifica clausola sul c.d. minimo garantito che prevedesse il diritto del dipendente all’intero corrispettivo anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in data antecedente la scadenza del patto».

In seconda battuta, a conclusione dell’iter argomentativo, la Suprema Corte fissa il “punto di osservazione” da cui effettuare (una volta appurata l’effettiva “determinabilità” del corrispettivo, quindi) la diversa verifica della “congruità” del corrispettivo.

Tra due punti di osservazioni possibili (in astratto: la data di stipulazione del patto oppure la data di cessazione del rapporto di lavoro), viene stabilito che solo al momento della stipulazione del patto sia giuridicamente corretto effettuare la verifica di adeguatezza del corrispettivo ai sensi e per gli effetti dell’art. 2125 cod. civ.

In questa prospettiva «posto che…il corrispettivo del patto costituisce il compenso per tale autonoma obbligazione di non facere…cristallizzandosi in ogni caso i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi possa in concreto accadere» (Cass. n. 9256/2025).

Stando a questa lettura, dunque, la “congruità” di un corrispettivo (di cui sia stata appurata la “determinabilità”) deve essere valutata in astratto osservando il meccanismo risultante dal mero tenore delle clausole (così come rappresentate nel patto contrattuale), indipendentemente da quello che sarà o potrà essere l’importo effettivo derivante da una concreta durata (più o meno lunga) del rapporto di lavoro.

Formulato in questi termini il principio di diritto, le prime due pronunce in commento (Cass. 8 aprile 2025, n. 9256 e Cass. 8 aprile 2025, n. 9258) hanno rimesso la questione (l’una e l’altra) alla Corte d’Appello di Milano, per apposita nuova decisione nel merito nel rispetto del principio medesimo.

– Pur con comunanza di esiti (in termini di validità del modello dinamico), in passato la giurisprudenza ha rilasciato decisioni differenti quanto alla specifica valutazione della “congruità”.

In particolare, alcuni provvedimenti di merito favorevoli al modello dinamico hanno allargato la visuale (non solo sul cd. “contratto atto”, ma anche) sul cd. “contratto rapporto, dando rilievo (aspetto che le pronunce in commento sembrano escludere, privilegiando una impostazione astratta) anche il concreto andamento del rapporto di lavoro (così effettivamente vagliandosi anche ex post, se il corrispettivo apparentemente congruo ex ante sia stato in grado, nello svolgimento della vicenda lavorativa giunta a termine, di indennizzare il dipendente vincolato al patto).

In questi termini è stato affermato che «occorre distinguere due piani di valutazione del tutto diversi: da una parte, la determinabilità del compenso che va valutata ex ante; dall’altra la congruità di esso, la cui valutazione in caso di erogazione nel corso del rapporto di lavoro non può che avvenire ex post» (Trib. Perugia, sez. lav., 10 ottobre 2018; Trib. Ancona, sez. lav., 13 giugno 2017).

Questa indicazione dalla giurisprudenza di merito, applicata nella pratica, potrebbe prestarsi, alternativamente, a “validare” situazioni in cui, alla fine del rapporto di lavoro, il corrispettivo acquisito si dimostrasse congruo (appunto, ex post) in correlazione al sacrificio connesso all’incipiente vincolo ex art. 2125 cod. civ., oppure a sanzionare con la nullità del patto le situazioni in cui (sempre con valutazione ex post), tale congruità non risultasse, invece, soddisfatta.

Nelle tre ordinanze in commento la Suprema Corte sembra volere scartare questa alternanza, come a volere affermare che sin dalla sua stipulazione il patto di non concorrenza deve potersi dire valido o invalido.

In questa prospettiva, dunque, la Suprema Corte sembra chiara nel concentrare l’analisi unicamente cd. “contratto atto”, limitando la “fotografia” della validità del corrispettivo al momento della sottoscrizione del patto (in ipotesi, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro).

– La Suprema Corte, con la terza pronuncia in commento (Cass. 8 aprile 2025, n. 9263) sembra ulteriormente rafforzare tali conclusioni adottando la formula semantica “in ogni caso”.

Viene in particolare confermata la nullità di un patto di non concorrenza alla luce del fatto che «la modalità di determinazione del compenso non fosse tale da assicurare “in ogni caso” la sua congruità, specie nell’ipotesi di anticipata cessazione del rapporto di lavoro prima dello scadere del triennio di durata del patto».

Affermare, invero, la necessità che il corrispettivo del patto di non concorrenza sia determinabilein ogni caso”, parrebbe riconfermare come valutazione della congruità debba potersi verificare ex ante, al momento della stipulazione del patto di non concorrenza ed avendo riguardo a tutti i possibili esiti dello stesso.

In tale valutazione prospettica effettuata al momento della stipulazione del patto di non concorrenza, dunque, sembrerebbe doversi verificare (ex ante) se, in tutti i possibili scenari evolutivi, il corrispettivo destinato dal dipendente (beninteso, tramite la – perfettamente determinabile – formula aritmetica) sia adeguato a consentirgli un giusto ristoro, in qualunque momento avvenga la cessazione del rapporto di lavoro (e, dunque, in ogni caso, indipendentemente dalla sua durata)

Tra tutti i possibili scenari “futuri” vagliati nella prospettiva ex ante (e, dunque, nella strutturazione di un corrispettivo idoneo a “sopportare” tutti tali scenari futuri possibili), peraltro, resta naturalmente critica la fattispecie in cui la data di attivazione del patto sia ravvicinata alla data di stipulazione dello stesso, in ragione di una prematura cessazione del rapporto di lavoro.

Nella pratica, ragionevolmente, un possibile correttivo per “gestire” questa tipologia di scenari sembra offerto dalla previsione di un importo a titolo di minimo garantito, applicabile laddove non ancora “saturato” dalle rate di corrispettivo percepite dal dipendente.

Con la precisazione, giusta le conclusioni delle ordinanze in commento, che la mancata previsione di tale ipotetico minimo garantito non costituirebbe, di per sé, ragione di nullità del patto.

Marco Sartori, avvocato in Milano

Visualizza i documenti: Cass., ordinanza 8 aprile 2025, n. 9263; Cass., ordinanza 8 aprile 2025, n. 9256; Cass., ordinanza 8 aprile 2025, n. 9258

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